Il libro “Preghiera del mare” di Khaled Hosseini, dedicato al dramma dell’immigrazione e della morte in mare, è stato il punto di partenza del dialogo che ha visto protagonisti l’Arcivescovo e Filippo Grandi, dal 2016, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati-Unhcr
di Annamaria
Braccini
La leggi che esistono e quelle che potrebbero migliorare la situazione nazionale e internazionale, i flussi migratori che non sono, oggi, un’emergenza in Europa, il ruolo della politica in tutto questo e come vivere, da cristiani, i fenomeni in atto.
È un bel confronto a tutto campo quello che, presso il Circolo Filologico Milanese, vede dialogare – con la moderazione del direttore de “L’Espresso”, Marco Damilano – l’Arcivescovo di Milano e Filippo Grandi, dal 2016 ,Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati-Unhcr.
Occasione, la lettura, con la voce del notissimo Fabio Volo, e l’approfondimento del libro di Khaled Hosseini “Preghiera del mare” (SEM Ed.), uscito nello scorso settembre per il terzo anniversario della morte di Aylan Kurdi, il piccolo profugo siriano fotografato, bocconi, su una spiaggia di Bodrum in Turchia, morto annegato.
Il volume, curato da Roberto Saviano ed edito per finanziare progetti della Nazioni Unite per i Rifugiati, è lo straziante monologo di un padre che stringe tra le braccia il suo bambino su una spiaggia, di notte, prima di affrontare il viaggio verso l’ignoto, parlando al figlio e al mare.
Grandi avverte subito: «Queste pagine sono il simbolo di una guerra disumana che colpisce sopratutto i civili da quasi 8 anni. Da quando la rotta balcanica si è interrotta, i siriani non vengono più a raccontarci le loro storie. Il libro è, in realtà, una poesia che riumanizza un problema che la cattiva politica ha trasformato, al meglio, in statistiche e, al peggio, in una minaccia».
«Disumanizzando la questione per guadagnare voti, abbiamo dimenticato che chi è escluso e chi muore sono loro. Il libro comunica quanto sia tremendo lasciare tutto alle proprie spalle, fosse anche solo la guerra. Non credo che, nel mondo, ci siano tante persone che devono fare una scelta così difficile».
Poi l’Arcivescovo, chiamato dal Moderatore a riflettere sulla spiritualità dell’esodo: «Dietro c’è un mostro che non ha pietà, che si chiama guerra; davanti c’è un mostro che non ha pietà, che si chiama mare. Questa condizione dell’impraticabilità della speranza, ci dà testimonianza. Mi pare che il messaggio di questo libro sia la sua conclusione che dice, “Non posso fare altro che pregare”. Non abbiamo soltanto la mira della disperazione, ma anche la possibilità della speranza. La preghiera (sottotitolo del volume è “una preghiera laica”) può essere sempre laica o religiosa, perché vuole dire un appello. Quando non si può più andare né avanti né indietro, guardiamo in alto. Il riferimento a Dio non è residuale , ma è la possibilità di una via di uscita che qualifica tutta la vita. I credenti non sono gente che si immagina che il mondo non sia cattivo, che tutto vada bene, che il mare sia una spiaggia dove si passano le ferie a prendere il sole. Credono, invece, che nella pace e nella guerra, nel dramma e nella serenità, Dio è vicino. A me sembra che l’Occidente sia disperato, non perché ha meno risorse o perché c’è la crisi economica o l’invasione degli stranieri, ma perché ha dimenticato come si fa a pregare. Penso che coloro che veramente pregano abbiano una visione diversa del mondo. Conosco i Francescani che sono ad Aleppo, che sono rimasti nelle altre città martiri. Cosa può fare un Vescovo, se non pregare?».
Si continua con Grandi che definisce il profilo dei rifugiati ed evidenzia: «Il “Patto delle Migrazioni” (verrà discusso a Marrakesh nel prossimo weekend), tenterà di regolamentare la migrazione. Lo scopo è gestire i flussi in modo più umano e giusto. La grande difficoltà odierna, nel trattare il problema dei rifugiati dal punto di vista istituzionale, è la complessità delle distinzioni tra rifugiati, migranti economici, climatici, richiedenti asilo, profughi».
«Non firmare il Global Compact è una scelta puramente politica, perché questi patti non sono vincolante in nessun modo, sono proposte e strumenti che si mettono a disposizione degli Stati. I Governi italiani, che si sono susseguiti in questi ultimi 10 anni, hanno sottolineato l’isolamento del nostro Paese e hanno ragione. Abbiamo bisogno di una cooperazione internazionale, quindi, non aderire a un patto che ci offre la possibilità di lavorare insieme mi sembra una contraddizione».
E, ancora, si interroga Damilano: «Quanto è complicato accogliere? Si può dare una mano “nei limiti del possibile”, come fosse un emendamento al Vangelo di Matteo: “Ero straniero, e mi avete accolto”»?
Risponde il vescovo Mario: «La mia impressione è che vi sia una legislazione che non va bene, quella di prima e quella di adesso. Mi sembra che ciò che manca sia un quadro normativo che abbia un’idea di che cosa vogliamo fare e che non sia una reazione emotiva alla notizia. Ci vorrebbe un pensiero che comprenda di più le cose e che produca – da un’intuizione, da un’interpretazione del momento storico presente -, una legislazione coerente. A me pare che la Chiesa italiana, abbia fatto molto: sono nate forme di assistenza, di soccorso, di attenzione alle persone, nel desiderio di coinvolgerle e non soltanto di confinarle nelle strutture di accoglienza. Quello che possiamo fare è confrontarci con la persona», conclude richiamando l’accoglienza diffusa e la forza dei piccoli gesti. «È il gesto minimo quello che può fare ogni comunità cristiana o, forse, anche ogni persona di buon cuore: non risolve nessun problema, ma dà una casa a chi non ce l’ha. Questo è il modo con cui si pratica il Vangelo anche a Milano».
Infine, un giudizio sul Decreto relativo all’accoglienza e alla sicurezza.
Chiare le parole dell’Alto Commissario: «L’accoglienza in Europa non è un’emergenza, oggi, perché la situazione è gestibile e, in questo momento, occorre approfittarne. Non siamo come in Venezuela o in Messico. Il problema è come si possa migliorare. Da noi non è buona né la legislazione, né la pratica: bisogna, ad esempio, accelerare la determinazione dello status di chi arriva. Ora in tutta Europa, queste procedure, prendono un tempo lunghissimo, ma ci sono modi per renderle più breve, seppure sempre corrette, ma i nostri suggerimenti non sono mai stati presi in considerazione».
Come a dire, fare distinzioni è necessario, ma i tempi sono fondamentali e ci sono molti aspetti pratici che possono essere migliorati. Infine, l’affondo: «Sul Decreto-legge abbiamo molte perplessità», spiega Grandi che su questo rivela di essersi confrontato con il Ministro degli Interni. «Delineare una legge su “sicurezza e immigrazione” è pericoloso perché questo binomio può diffondere l paura e avere derive gravissime. Investire sui grandi Centri, che sono privilegiati ma che hanno già dato i maggiori problemi, è altrettanto rischioso e, poi, vi è la poca attenzione sui minori soli». Senza dimenticare il dramma nel dramma dei tanti che – come ha denunciato Caritas ambrosiana – si ritroveranno per le strade senza un tetto.
«È una legge al limite della violazione del Diritto Internazionale e, come Unhcr, lo abbiamo già detto.
E, in conclusione, il ruolo del dialogo interreligioso: «A Milano – il riferimento è al Forum delle Religioni – mi sembra che il dialogo sia proficuo e aiuti».
La raccomandazione arriva con le parole di papa Francesco: “Magari se dovessimo discutere di teologia avremmo delle idee molto distanti, perfino contrapposte, ma se discutiamo del bene che si può fare ci troviamo facilmente d’accordo”. D’accordo sul soccorso al povero, l’assistenza al malato, la compagnia nella solitudine, l’educazione dei bambini.