A due anni dalla scomparsa del sacerdote che fu responsabile dell’Ufficio pastorale fino al 2015, lo ricordiamo attraverso alcune sue riflessioni

Monsignor Giancarlo Quadri
Don Giancarlo Quadri

Due anni fa, il 22 marzo 2020, all’inizio di quella che nessuno di noi si immaginava sarebbe diventata una pandemia – e proprio a causa di quella pandemia -, ci lasciava don Giancarlo Quadri, per lungo tempo responsabile dell’Ufficio diocesano per la Pastorale dei migranti.

Dalla fine degli anni Novanta, prima affiancando come “cappellano dei migranti” il lavoro dell’allora Segreteria per gli Esteri, fino ad arrivare alla responsabilità di una pastorale dedicata – fortemente voluta dal cardinale Martini – e alla riapertura nel 2003 di un luogo di culto espressamente riservato alle comunità migranti (la chiesa di Santo Stefano Maggiore, oggi parrocchia personale dei migranti), don Quadri ha trascorso gli ultimi venti anni della sua vita con e per i migranti, guardando a loro sempre e solo come persone, «in cammino, alla ricerca di qualcosa o Qualcuno».

In questo secondo anniversario dalla sua scomparsa, lo ricordiamo riportando alcuni stralci presi da una raccolta di suoi scritti, Punti di vista. La mia vita quotidiana con i migranti (Centro Ambrosiano, nel 2010), contenuti in una rubrica su Avvenire e ricavati dal suo «osservatorio privilegiato sulle migrazioni che stanno cambiando il volto delle nostre città». Scriveva nella prefazione il cardinale Tettamanzi: «Stai dando molto in questo tuo servizio alla Chiesa, ma stai anche ricevendo molto», aggiungeva, restituendo a chi lo incontrava una visione piena di Speranza.

Il mistero della persona

«Il centro della mia riflessione, quando mi occupo di migranti, è proprio questo mistero: la persona. L’uomo, la donna, che per tante ragioni diverse sceglie di mettersi in viaggio, in cammino, cercando… qualcosa o Qualcuno. […] Gente, folla, persone: una a una le vedo entrare ogni giorno nella chiesa di Santo Stefano. Alla domenica, in gran numero si riuniscono qui per pregare, cantare, parlare e fare festa. Il centro, l’anima, l’impegno primo con i migranti è [vedere] la persona umana che cerca di realizzare il progetto della sua vita».

A casa propria

«Ciò che mi colpisce sempre è il contrasto che già lo scrittore sacro rilevava ai tempi dell’Esilio del Popolo di Dio: come possiamo cantare i canti del Signore in terra straniera? […] Migliaia di anni di cammino dell’uomo sulla terra e sempre la grande nostalgia della Patria, di una terra, della “mia” terra. Qual è la terra dell’antico migrante? Quale la terra del migrante di oggi, se non la sola terra che Dio ha creato per tutti? […] La terra è di Dio se diventa terra dell’uomo, di tutti gli uomini. Mi sembra anche chiaro il messaggio che da tutto questo nasce per la Chiesa: far sentire le persone a casa propria».

Una bellezza da valorizzare

«L’immigrazione ci porta doni di Provvidenza. Come li accogliamo? Pochi momenti come quelli religiosi esprimono così chiaramente il positivo dell’immigrazione. Momenti destinati a rinfrescare la nostra fede, la nostra ricerca di Dio. […] Sempre mi nasce nel cuore una domanda: saremo capaci noi di accogliere e valorizzare questa bellezza, questi colori, questi valori?».

Lacrime uguali

«È Natale. Abbiamo un momento di riflessione insieme sulla famiglia. Inizio a parlare e subito vedo occhi lucidi di pianto. Chissà come erano le lacrime di Maria sopra il suo Gesù? Chissà se sono diverse le lacrime ucraine, peruviane, filippine o cinesi? Il Natale è di tutti, normale. Bambini che giocano. Le famiglie che per un poco si ritrovano attorno a un sogno. Per gli italiani come per i migranti: Filippini, Latino-Americani, Ucraini, Rumeni, Arabi cristiani, Cinesi, tutti! Chissà perché qualcuno qui da noi pensa ancora che le diversità dividano!».

Nessuno è straniero

«Domani verrà l’alba e il sole uscirà dalle nubi. Si tornerà a capire che ogni uomo è mio fratello; che (almeno) nella Chiesa nessuno è straniero; che tutti i bambini sono uguali, ciascuno con la sue meravigliose diversità; che il buonsenso mi dice che devo essere capace di distinguere; che nessun uomo è un’isola. Certo. Ne sono sicuro. Ma… quando inizia la primavera?».

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