Nella mattina di Pasqua l’Arcivescovo, in Duomo, ha presieduto il Pontificale solenne. Nella benedizione in italiano, inglese e spagnolo, l’augurio di una Pasqua di pace
di Annamaria
Braccini
Non voltarsi indietro, ma guardare al domani con la speranza che viene «dall’annuncio irrinunciabile»: aver visto il Signore risorto.
Nella mattina della Pasqua di Risurrezione del Signore, con il Duomo che si erge magnifico sotto un sole splendente, si celebra “il vero giorno di Dio, radioso di santa luce”, come recita l’Inno del patrono Ambrogio. Tra le navate della Cattedrale, i Dodici Kyrie della Liturgia ambrosiana, i gesti liturgici, le tre Letture tratte dal Nuovo Testamento – attraverso pagine degli Atti degli Apostoli, della I Epistola ai Corinzi e del Vangelo di Giovanni – definiscono il senso della gioia del partecipare a un nuovo inizio, oltre le lacrime davanti al sepolcro vuoto di Maria Maddalena. Immagine di un’umanità che, continuando a cercare tra i morti le sue risposte, piange, come dice l’Arcivescovo che presiede il Pontificale concelebrato dai canonici della Cattedrale.
Un’umanità smarrita e inquieta
«Umanità desolata, perché nel cercare piangi? Il tuo pianto è il compianto per un’assenza che ha posto fine alla familiarità affettuosa, è lo sfogo di un dolore disperato che invoca almeno un cadavere per la patetica consolazione del rito funebre. Donna, tu piangi per ciò che hai perduto, guardi indietro, al passato. Lacrime di nostalgia, inutile ribellione contro la morte spietata. Lacrime di nostalgia, di risentimento inguaribile per una storia sbagliata, ingiusta, che umilia il bene e nutre desiderio di rivincita. Tu piangi per gli affetti spezzati, per i lutti inconsolabili, per l’irrimediabile».
Evidente, nelle parole del vescovo Mario, il richiamo a un’umanità «smarrita e inquieta» perché «permetta al Signore di guarire».
«Umanità inquieta, attingi il tuo desiderio non al passato perduto, ma alla promessa del compimento, la voce amica, la parola inaudita che ti chiama alla speranza. Umanità spaventata dalla roccia troppo pesante, dal sepolcro troppo vuoto, volgiti verso il corpo glorioso, l’inaudita leggerezza della gioia, l’insperata facilità dell’incontro d’amore, libero dalla greve angoscia della morte, libero dall’isolamento dell’incolmabile distanza. Non piangere più, fratello, sorella, umanità scoraggiata e sgomenta: il maestro è qui e ti chiama. Risorgi a vita nuova, ricevi il nome nuovo, riconosci la vocazione a un nuovo modo di amare, di vivere, di passare il confine che l’ottusa sapienza del mondo ritiene invalicabile e che la semplicità della fede sperimenta come un invito a entrare nella gioia di Dio». L’invito è a mettersi in cammino «nell’inesplorata terra promessa della speranza»
Il popolo della speranza e della carità
«Mettiti in cammino, popolo inviato, popolo di apostoli, popolo di missionari, va’ a consolare chi giace nelle tenebre e nell’ombra di morte. Canta l’alleluia, chiama all’incontro con Gesù risorto. Mettiti in cammino, popolo della carità: il Signore che ami ti aspetta tra i fratelli. Non bastano più le parole, eppure la carità non sarà senza parola, perché insieme con il servizio sia offerta la testimonianza dell’invincibile speranza. Non bastano più i sentimenti, eppure la carità non sarà senza sentimenti, perché insieme con la testimonianza e con il servizio sia edificata la comunità degli affetti, delle relazioni».
«Mettiti in cammino, popolo custode della verità semplice e lieta, perché il pensiero, la parola, gli affetti e il servire, tutto sia trasfigurato dall’annuncio irrinunciabile: ho visto il Signore», conclude l’Arcivescovo che, al termine della celebrazione – così come aveva fatto con il saluto di benvenuto iniziale -, rivolge il suo augurio non solo in italiano, ma anche in inglese e spagnolo. Prima della benedizione cui è annessa l’indulgenza plenaria per facoltà ottenuta da papa Francesco, il vescovo Mario, infatti nelle 3 lingue, sottolinea: «A tutti auguro una Pasqua serena. Sia una Pasqua di speranza, in cui l’incontro con il Signore ci aiuti a guardare con fiducia alla missione che il Signore ci affida».