Nella prima domenica della Quaresima ambrosiana l'Arcivescovo ha presieduto la Messa con il rito delle ceneri: tra grida, gemiti e rumori, si fa strada «la gioia di essere fratelli»
di Annamaria
BRACCINI
«Deponete le armi, contestate le armi, lasciatevi riconciliare con Dio. Vogliamo sfidare l’improbabile e cantare il canto della pace».
Nella domenica in cui inizia il cammino di penitenza e conversione che porta alla Pasqua di risurrezione del Signore, nei giorni tristi del primo anniversario di guerra in Ucraina e dell’ultima strage di migranti a poche decine di metri dalle nostre coste, l’Arcivescovo torna a parlare di pace, presiedendo la celebrazione in Duomo, con l’imposizione delle ceneri, concelebrata dai membri del Capitolo metropolitano della Cattedrale. Tanta la gente che prende parte alla Messa – tra cui, come tradizione, gli appartenenti agli Ordini cavallereschi e alle Confraternite – durante la quale l’Arcivescovo rinnova la richiesta di sottoscrivere il suo appello per la pace, «cambiando il cuore» con il silenzio, la preghiera, il perdono (leggi qui la sua omelia).
L’appello per la pace
«Invochiamo lo Spirito di Dio perché porti a compimento questo desiderio di pace che c’è in noi. Ho scritto la proposta di firmare un appello da rivolgere alle autorità dello Stato e dell’Europa: invito tutti a firmarlo, se lo desiderano, e a fare penitenza il prossimo venerdì 3 marzo, I di quaresima, in cui pregheremo insieme durante la pausa pranzo». (leggi qui).
E tutto questo per diventare il «popolo del canto improbabile», quello appunto della pace, della riconciliazione, della giustizia capace di farsi sentire tra il rumore, il gemito, il lamento della terra.
Il gemito della terra
«Il dolore è troppo grande, i disastri sono troppo catastrofici, la pena è troppo profonda. Il rumore dell’umanità è un gemito. Il rumore dell’umanità è un grido: la gente è arrabbiata e sfoga la sua rabbia gridando, insultando, aggredendo con parole e violenza; la gente non vede progressi, non vede vie di uscita dalla sua situazione penosa, sente il peso della vita, non sa come alleviarlo e non crede che ci sia chi possa e voglia prestare soccorso». Magari proprio mentre infuriano i rumori della guerra e della disperazione che, quasi a portare un ultimo insulto alle vittime, «si mescolano con sconsiderate musiche di baldoria, e volgari risate di ricchi».
Il canto della riconciliazione
Evidente, in un simile cotesto, il compito di cristiani che non contemplano invano la croce: «Voi che fate il segno della croce, lasciatevi riconciliare con Dio e riconoscete la grazia di essere fratelli. Il canto improbabile risuona nell’intimo del cuore di ciascuno e suggerisce il sussurro discreto che confida alle persone amate le parole che chiedono e offrono il perdono. Non tacete le parole attese dalla moglie, dal marito, dai genitori, dai figli, dai parenti, dalle persone vicine: abbiate la semplicità di chiedere scusa, di riconoscere il torto, di sorridere con benevolenza, di abbracciare ogni nuovo inizio. Il canto improbabile si innalza dalle famiglie che si lasciano riconciliare con Dio, dagli ambienti di lavoro, dalle case e dai condomini in cui vi è un tentativo, un desiderio, una possibilità di riconciliazione».
Un canto – questo – che si innalza verso il cielo «come una parola amica che abbatte il muro di separazione tra chi ha troppo e chi non ha nulla, tra chi è sano e chi è malato, tra chi è cittadino e chi è straniero».
«Ecco – conclude l’Arcivescovo – come vogliamo cominciare la Quaresima di questo anno, come il popolo del canto improbabile, il canto della pace, il canto della riconciliazione con Dio e tra i popoli, con Dio e nelle comunità, con Dio e nelle famiglie. Mentre sembra che solo il grido, il gemito e il rumore possano risuonare sulla terra, noi vogliamo invece cantare la gioia di essere fratelli, la speranza della pace, la fiducia in Dio».
Poi, al termine della celebrazione, l’imposizione delle ceneri quale segno dell’austerità quaresimale, con il penitenziere maggiore della Cattedrale, monsignor Fausto Gilardi, che le impone sul capo dell’Arcivescovo, il quale compie lo stesso gesto sui Canonici che, a loro volta, le impongono ai fedeli, mentre dalla Cappella musicale del Duomo, diretta dal maestro Massimo Palombella, già direttore della Cappella Sistina, esegue il celebre Miserere di Gregorio Allegri, nella sua inedita versione originale.
L’esecuzione del Miserere
Un’esecuzione basata sul manoscritto del 1661, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e realizzata, per l’occasione, con quattro cantori solisti che si sono alternati con la Cappella Musicale, cantando dalla balconata interna del Duomo ubicata sopra il portone di ingresso, al fine di creare lo stesso effetto di “suono lontano” che storicamente si percepiva all’esecuzione del Miserere nella “Sistina” in Vaticano. La versione originale del brano è, plausibilmente, la stessa che ascoltò il 14enne Wolfgang Amadeus Mozart, proprio nella Cappella Sistina l’11 aprile 1770, trascrivendolo poi a memoria, tanto ne fu colpito.