Nella VI domenica dell’Avvento ambrosiano, come tradizione fin dai tempi del cardinale Martini, l’Arcivescovo ha presieduto la Celebrazione eucaristica natalizia all’Istituto “Luigi Palazzolo”. «La prossimità di Dio insegna il segreto della gioia che convive anche con il dolore», ha detto monsignor Delpini

di Annamaria Braccini

delpini palazzolo natale 2017(C)

Un invito, un inno a riconoscere la gioia sempre possibile in ogni momento e luogo, qualunque sia la condizione di vita.

Nella mattina della VI domenica dell’Avvento ambrosiano, domenica dell’Incarnazione, come tradizione fin dai tempi del cardinale Martini, l’Arcivescovo di Milano celebra Messa nella grande chiesa interna all’Istituto “Luigi Palazzolo”. Un presidio sanitario, fondato dal sacerdote oggi beato da cui prende il nome, peculiarmente dedicato alla cura degli anziani e della cronicità (ma ormai non solo), che monsignor Delpini conosce bene per averlo visitato molte volte, come ricorda nel saluto iniziale il cappellano, don Carlo Rasi.

L’Eucaristia, cui partecipano qualche centinaio degli 800 ospiti, il direttore, Roberto Costantini, i vertici sanitari e amministrativi della struttura, medici, volontari e personale ̶ un popolo di 40 etnie diverse ̶ , Alpini e i ragazzi scouts, è anche occasione per dare avvio all’anno giubilare che, nel 2018, ricorderà gli 80 anni di attività del “Palazzolo” e il 20esimo del suo passaggio alla Fondazione “Don Carlo Gnocchi Onlus”. Accanto all’Arcivescovo, concelebrano, infatti, il presidente della Fondazione don Vincenzo Barbante e il presidente emerito, monsignor Angelo Bazzari, unitamente al parroco e decano del Decanato “Cagnola”, don Carlo Azzimonti.

Tutto, nella chiesa parla, d’altra parte, di un itinerario di fede e professionalità che ha caratterizzato specie questi ultimi anni: al centro del presbiterio è posto, non il classico presepe, ma una sorta di costruzione simbolica in legno che indica un cammino di impegno simboleggiato da alcune porte (aperte per ogni domenica di Avvento) che svelano parole tratte dalla Lettera pastorale dell’Arcivescovo.

 L’omelia dell’Arcivescovo

Dalle Letture, tra cui il Vangelo dell’Annunciazione a Maria, prende avvio l’omelia del Vescovo. «Rallegrati, siate lieti. Tutta la liturgia di oggi è un inno alla gioia, così ci introduciamo al Natale», osserva subito Delpini, che aggiunge, «ma come faccio a essere lieto, se non ho quello che voglio? Un’obiezione alla gioia è la banalità dei desideri, tanti capricci e attese deluse che assorbono, come una spugna nell’anima, tutti gli spazi della gioia. Per vincere questa obiezione è necessaria una annunciazione, occorre che un angelo di Dio dica: “Guarda più lontano, il Signore è con te, non restare imprigionato nella banalità, allarga gli orizzonti”.

Ed esiste, poi, anche quel secondo ostacolo ̶ più vero e drammatico, certamente ̶ , che viene dalla sofferenza, «quando un male è entrato nel corpo e lo corrode, una malattia impedisce di vivere; quando si soffre perché gli affetti più cari si sono spezzati, perché si è tormentati da un litigio che non si riesce a riconciliare».

Anche qui, «nell’obiezione alla gioia che è il dolore fisico e spiritale», è necessaria, per l’Arcivescovo, un’annunciazione «per comprendere che Gesù è venuto a visitare il suo popolo che soffre, indicando la prossimità di Dio. Rallegrati, perché il Signore, che è con te e abita presso di te, può rivelarti il segreto della gioia che convive anche con il dolore. Il miracolo dell’Incarnazione è questa possibilità».

E, infine, quella che monsignor Delpini chiama una terza “obiezione”: la solitudine e la mancanza di affetti, di fronte ai quali è necessaria ancora un’annunciazione dell’angelo di Dio che «venga per dire che il Signore vuole servirsi di noi per creare comunione».

Insomma, per scuoterci, imparando – noi per primi – «a essere un buon vicino di casa, un buon compagno di stanza, che sa sorridere, che non dice: “nessuno si interessa di me”, ma “io voglio interessarmi degli altri”, offrendo coraggio a chi si trova nella sofferenza. La solitudine si vince cominciando, a qualunque età e in ogni condizione di salute, a costruire buoni rapporti di fraternità. Ogni luogo è adatto per tale scopo».

L’invito è ad aprirsi a «un’annunciazione che ci renda protagonisti di amicizia e di fraternità perché nessuno si salva da solo»

Poi, al termine della Celebrazione in cui l’Arcivescovo porta la comunione agli ammalati in carrozzina, ancora qualche breve saluto, tra cui quello della Superiora delle 9 suore Poverelle fondate dal Palazzolo che, con 4 religiose indiane della Carità, formano la preziosa presenza delle Consacrate nell’Istituto.

«Grazie a nome della Comunità e della grande famiglia della Fondazione don Gnocchi. Il tempo che ci offre il Signore è sempre prezioso e ricco, ma si fa più difficile in certi momenti. La prossimità di Dio al cammino di ciascuno è motivo di gioia, consolazione, forza e speranza. Il Natale è la festa del Dio con noi, del suo chinarsi sulle nostre povertà e fragilità, come hanno testimoniato i nostri fondatori, i beati Palazzolo e Gnocchi», sottolinea il presidente Barbante.

 L’incontro con il personale

«Il cardinale Schuster, nel 1934, visitando il terreno dove sarebbe stato costruito l’Istituto, disse che qui doveva sorgere una cittadella della salute. Oggi, ogni giorno, ci sono 2000 persone che, tra ospiti, medici, infermieri e volontari, vivono al “Palazzolo”, divenuta, così, davvero una “città costruita intorno alla fragilità”, con al suo interno un ospedale, cosa unica in Italia. Abbiamo un’area RSA che è la più grande del Paese e, forse, di Europa, ma sappiamo che c’è ancora molto da fare», spiega il direttore Costantini, durante l’incontro con il personale, dopo il breve saluto portato dall’Arcivescovo ad alcuni reparti, tra cui quello dei “Lungodegenti”.

Parole cui fa eco l’amministratore delegato della Fondazione, Marco Campari, che evidenzia lo stretto legame tra il “Palazzolo” e l’Ircss Santa Maria Nascente della “Don Gnocchi”, «realizzato al fine di individuare, con le migliori modalità e costi sostenibili, i diversi settings sanitari per la cronicità e la fragilità. Un percorso – questo – all’avanguardia».

Della feconda sinergia tra “Palazzolo” e Fondazione, parla anche don Barbante, «Queste non sono realtà di élite, ma per tutti. Il segno della vicinanza dell’Arcivescovo è di grande rilevanza per noi. È proprio con lo stile, la coerenza, la trasparenza, il lavoro, la professionalità, il cuore e la fede che manterremo viva la missione indicata dai fondatori».

Infine, è ancora monsignor Delpini a notare: «Fa piacere che la mia visita sia accolta come incoraggiamento per voi perché lo è anche per me. Devo confessare che lascio l’Istituto sempre con più domande di quando sono entrato. Mi chiedo che città stiamo costruendo, dove stiamo andando.

Aiutatemi perché sento la responsabilità in questa metropoli che dovrebbe costruirsi con una maggiore coralità. Voi, che vi dedicate con passione al servizio, suggeritemi come trovare un cammino più comune».

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