Una triplice consegna nell’omelia che l’Arcivescovo ha pronunciato in San Pietro nella Messa presieduta per il pellegrinaggio degli oltre 5000 preadolescenti ambrosiani. Alcune testimonianze
di Annamaria
Braccini
Tre parole per orientare il cammino, il futuro, la vita degli anni del domani che hanno davanti: Sono quelle che l’Arcivescovo, dall’altare papale della Basilica di San Pietro, ha rivolto ai più di 5000 preadolescenti ambrosiani che hanno raggiunto Roma, provenienti da 160 tra parrocchie e Comunità pastorali, per il loro pellegrinaggio che culminerà domani nell’udienza generale di papa Francesco. Un appuntamento ormai tradizionale, ma sempre attesissimo e che quest’anno registra numeri da record.
Voci dalla piazza
Entusiasmo alle stelle per la tre-giorni iniziata il Lunedì dell’Angelo, con il viaggio e gli arrivi di questi ragazzi che frequentano la scuola media inferiore, invitati a vivere una tappa fondamentale nel cammino di crescita che li fa sentire parte della comunità ecclesiale. Di cui sono i germogli che stanno sbocciando, anche oggi sotto un sole amico e caldo come quello di Piazza San Pietro, dove gli ambrosiani, già di prima mattina, si affollano con i loro “don” (anch’essi in grande maggioranza giovani), le religiose, gli educatori. Ragazzini e ragazzine come Davide e Viola dell’oratorio San Tarcisio di Gaggiano che spiegano cosa sia per loro il pellegrinaggio: «Un viaggio per professare la nostra fede con la voglia di stare vicini all’Arcivescovo e al Papa». «Sì, è una vera esperienza di Chiesa – commenta don Simone Arosio della Comunità pastorale San Cristoforo di Gallarate -. Stiamo scoprendo la bellezza di conoscerci, di stare insieme».
Tutti insieme in una marea coloratissima, fatta di bandiere, bandane e striscioni, che saluta l’Arcivescovo in arrivo sotto il colonnato del Bernini, accompagnato da don Mario Antonelli, Vicario episcopale di settore. La stessa massa che però, una volta in Basilica, partecipa alla Messa – concelebrata da circa 200 sacerdoti tra cui don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile – con attenzione e raccoglimento. Accogliendo l’Arcivescovo, come chiede il direttore della Fom don Stefano Guidi, con un Kaire corale urlato a pieni polmoni.
L’omelia
E l’Arcivescovo, nell’omelia pronunciata con la voce affettuosa di un padre, non li delude. Tre, appunto, le parole lasciate come consegna impegnativa per tutti. «Vangelo, amicizia, servizio», a partire da una premessa, scandita quasi guardando i ragazzi a uno a uno: «Devi dire che il tuo cervello non è in vendita, che nessuno ti convincerà a pensare pensieri che non pensi. Devi dire: “La mia parola non è in vendita, non lo è la mia coscienza, non mi convincerai a credere che il male sia il bene, e il bene il male, anche se mi dai una grande somma di denaro”».
«Le guardie, sconvolte dal terremoto della Risurrezione, si sono lasciate comprare e hanno detto ciò che i capi hanno comandato loro di dire – prosegue l’Arcivescovo in riferimento al Vangelo della Risurrezione di Matteo -. Noi invece preferiamo essere sinceri. Trovassero pure tutti i mezzi della pubblicità, della comunicazione e delle promesse, io non sono in vendita».
Poi, la domanda: «Come mai queste donne del Vangelo erano piene di gioia e coraggiose da sfidare la responsabilità dell’annuncio, mentre le guardie erano spaventate e i sacerdoti preoccupati? La risposta è perche hanno incontrato Gesù. Come mai queste donne convincono anche i discepoli, tristi e scoraggiati, a svegliarsi per riprendere il cammino? Perché hanno incontrato Gesù che è vivo. Se lo incontro non posso credere a quelli che hanno detto che Gesù è morto e sepolto. A volte siamo tristi, scoraggiati, arrabbiati, ma se lo abbiamo incontrato, anche se non possiamo pretendere che vada tutto sempre bene, la nostra tristezza contiene una speranza di gioia. La nostra speranza è invincibile. Non pretendiamo di essere perfetti, non siamo eroi che hanno il coraggio di chissà quali imprese e, a volte, ci sentiamo persino complessati nel dire che siamo cristiani perché siamo timidi e fragili; ma abbiamo dentro una forza, una speranza, un principio di gioia che viene dall’incontro con il Signore».
Da qui le tre parole. Anzitutto il Vangelo: «Dovete leggerlo, ascoltarlo, pensarlo, andare a Messa dove il Vangelo viene proclamato, commentato e diventa pane». Seconda indicazione, l’amicizia: «Nessuno cammina nella fede senza la Chiesa e senza gli amici. L’amicizia è quel rapporto bello, libero e puro che ci aiuta a diventare migliori, a essere fedeli ai nostri impegni». L’amicizia «come forma per vivere la Chiesa, che non è fatta di mura, di cose da fare, ma di una comunità che ha incontrato Gesù e che legge il Vangelo». Infine, il servizio gli uni degli altri, così come «Gesù che è in mezzo a noi come colui che serve».
Un’occasione di crescita
Parole che convincono i preadolescenti, che le ripetono uscendo da San Pietro, come fa Maia, 14 anni, che viene con altri 27 coetanei dalla Cp Cenacolo di Quarto Oggiaro: «Per me l’amicizia è fidarsi di una persona e poter sempre contare su di lei», riflette. O come la quarantina di “preado” (le ragazze in netta maggioranza) dell’Unità pastorale San Domenico e San Magno di Legnano, accompagnati da Simone Peretti, educatore professionale e da altre educatrici, che nel pomeriggio visitano i luoghi della Roma antica e cristiana, riprendendo e approfondendo il significato di quanto detto dall’Arcivescovo. «Qui il clima è bellissimo – dice Simone, intercettato con il suo gruppo presso i Fori Romani -. Specie dopo il Covid, che ha lasciato segni profondi, tornare a respirare un’aria diversa è fondamentale per i giovani. Alcuni di loro hanno sentito i racconti di amici e fratelli maggiori che avevano già fatto questo pellegrinaggio e non vedevano l’ora di partire. Anche i genitori l’hanno subito considerata un’occasione importante per la crescita dei loro figli».
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