Il 10 febbraio 1980 faceva il suo ingresso in Diocesi da Arcivescovo, iniziando un episcopato caratterizzato anche da un originale rapporto con la città, di cui valutava le difficoltà e le sfide, ma anche le risorse e le possibilità. Pubblichiamo un video con immagini dell'epoca

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di Franco MONACO

Monsignor Martini saluta la folla accorsa in piazza Duomo al suo ingresso
Monsignor Martini saluta la folla accorsa in piazza Duomo al suo ingresso

Carlo Maria Martini fu uomo e pastore presente al suo tempo, sintonizzato sul “cambio d’epoca”, da una società statica a una società dinamica, da una società tradizionale e omogenea a sfondo cristiano a una società moderna e pluralista investita da processi di scristianizzazione. Al centro della quale sta appunto la città, non più intesa come unità armonica (raccolta simbolicamente e urbanisticamente intorno alla chiesa), ma come conglomerato urbano complesso e policentrico.

Le origini e la formazione

Dunque, la città è tema centrale nella riflessione e nell’azione di Martini. A ciò lo abilitava anche la sua estrazione e la sua esperienza personale: un figlio della borghesia torinese, che, già prima della sua nomina episcopale, aveva sviluppato una ricca rete di relazioni (e di una conseguente apertura) internazionale. Si pensi all’Istituto Biblico e alla Gregoriana di Roma. In un tempo nel quale ancora – ricordo una ricerca al riguardo – la più parte dei vescovi italiani si era formata nel contesto di una cultura/ambiente, se non più contadina, tuttavia non ancora dominata dalla cifra della industrializzazione e della urbanizzazione.

Discernere tra problemi e opportunità

Come si rapporta Martini con la grande città e, segnatamente, con Milano, intese quale prodotto e metafora della modernità economica, sociale, culturale, religiosa?  Innanzitutto, senza nostalgia, senza ansia, senza turbamento paralizzante. In positivo, esercitando un lucido, realistico, disincantato discernimento. Soprattutto nel segno dell’equilibrio nel giudizio, che lo conduce a rimarcarne l’ambivalenza: la città secolare pone seri problemi, ma, insieme, offre opportunità agli uomini e alla Chiesa stessa.

Problemi, si diceva. Quelli che furono poi puntualmente oggetto delle sue attenzioni e della sua predicazione: l’individualismo di massa, la dominanza di rapporti meramente funzionali (“condominiali”), la frammentazione sociale, il degrado delle periferie, la crisi della famiglia, l’anonimato, la solitudine, la corruzione, le tossicodipendenze… Ma anche, per converso, le opportunità dischiuse dalla città: l’apertura mentale e culturale, l’abbondanza dell’informazione e della conoscenza, l’affrancamento da un gretto controllo sociale, le occasioni di aperto confronto tra opzioni diverse che può propiziare scelte di vita più consapevoli e autonome rispetto al senso comune e alla pressione di conformità.

Dalla convenzione alla convinzione

Sul piano più specifico della missione della Chiesa, Martini fissa la stella polare in una formula sintetica che sarà un po’ un mantra: passare da un cristianesimo di abitudine e di tradizione a un cristianesimo di convinzione, di riflessione, di scelta, di decisione. Si pensi alla “consegna della fede” ai giovani dei sabati in Traditione symboli e all’assemblea di Sichem del 1989. Una via stretta, ma obbligata, senza alternative. Di riflesso, si spiega il frequente rimando di Martini – penso alle sue conclusioni del Sinodo diocesano – al paradigma della comunità apostolica, cioè a un tempo allora precristiano, assimilabile, per certi versi, al nostro tempo postcristiano. Solo distinguendo tra prima evangelizzazione (allora) e nuova evangelizzazione (oggi).

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L’anima e la vocazione

La consapevolezza del carattere complesso e non organico della città moderna, tuttavia, avverte Martini, non ci esonera, ma semmai ci incoraggia a decrittare l’“anima” della città, di ciascuna città. Tema genuinamente lapiriano. Il “sindaco santo” di Firenze sosteneva appunto che le città non sono un mero cumulo di pietre e di funzioni, esse hanno un volto, un’anima, una vocazione e che è compito sia dei pastori che dei politici decifrare e inverare. Darne l’interpretazione autentica e regolarsi di conseguenza. Con l’avvertenza che l’anima delle città di oggi non è di immediata lettura, che essa esige una ricerca e un’opera ricostruttiva.

In più occasioni Martini lo fa anche a proposito di Milano. Come era nel suo stile un po’ su tutto, egli non si contentava degli stereotipi, dei luoghi comuni: Milano capitale morale, Milano con il cuore in mano, Milano polo industriale e finanziario… Amava piuttosto scuotere e sfidare quelle pigre e consunte rappresentazioni convenzionali. Qualche esempio: la cruda denuncia delle “nuove pesti” (tra le quali la corruzione pubblica); la provocazione, già al suo esordio, di proporre la dimensione contemplativa della vita a una città e a una diocesi consacrate all’homo faber; la predilezione per il carcere, gli ospedali e i luoghi della sofferenza a fronte della retorica e dei lustrini della Milano da bere.

Impossibile richiamare qui la messe sterminata di spunti martiniani in tema di città. Si dovrebbe ripercorre quasi l’intero suo magistero. Basti rinviare a due riferimenti esemplari rispettivamente attinenti alla evangelizzazione e alla politica (in senso lato) per la città.

Il compito di tutti i battezzati

Il primo: la sua lettera titolata Alzati, va’ a Ninive la grande città, indirizzata agli operatori pastorali e ai cristiani di Milano. Vi si rinvengono una puntuale concettualizzazione delle molteplici vie alla evangelizzazione (per proclamazione, convocazione, attrazione, irradiazione, contagio, lievitazione); l’idea delle comunità cristiane come benintese “comunità alternative” per la qualità fraterna delle loro relazioni interne dal valore testimoniale della “differenza cristiana”; l’esigenza che la Chiesa offra di sé un volto amico, accogliente, magnanimo, sciolto (l’opposto di certe rigidità); la sottolineatura che mai come oggi l’azione evangelizzatrice non può essere cosa affidata ai soli preti, ma essa interpelli tutti i battezzati. Soprattutto Martini, con finezza, svolge il tema delle “situazioni intermedie” e delle “convivenze dirompenti” che connotano le nostre comunità di antica tradizione cristiana ma ora largamente scristianizzate nelle quali le persone, anche nell’arco della giornata, attraversano ambienti e universi di senso/valore diversi e confliggenti (famiglia, lavoro, scuola, associazioni, politica), che dunque esigono una pastorale intelligente e flessibile.

I Discorsi di Sant’Ambrogio

Circa la vita pubblica e politica, si dovrebbero rileggere i discorsi alla città per la festività di Sant’Ambrogio che ebbero vasta eco pubblica ben oltre i confini della Chiesa. Sull’onda appunto di Ambrogio, Martini si guadagnò la nomea di coscienza morale e civile della città. Accompagnandola in passaggi drammatici (terrorismo, corruzione, guerre del Golfo); non lesinando, quando necessario, taglienti richiami alle classi dirigenti; tematizzando la “questione democratica” e, segnatamente, il dovere dei cristiani di apprezzarne il valore e le regole, coniugando principi etici e mediazione politica, come si conviene in una società pluralistica e dentro uno Stato laico. Un approccio – sia lecita una nota personale – piuttosto raro in quegli anni tra gli uomini di Chiesa dai quali i cristiani impegnati in politica potessero avvertire una qualche comprensione per la loro quotidiana fatica di coniugare coerenza etica e gradualismo democratico.

«Travolti dall’amore», con Martini verso Gerusalemme: un webinar il 10 febbraio

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