Parlando ai media diocesani il Vescovo ausiliare nominato dal Papa Vicario apostolico per l’Arabia meridionale traccia il bilancio del suo servizio alla Chiesa ambrosiana
Intervista a cura di Pino Nardi, direttore di ChiesadiMilano.it, Fabio Brenna, direttore di Radio Marconi, e Annamaria Braccini
«Porto nel cuore la Chiesa ambrosiana come la mia radice ultima. In particolare alcuni luoghi: il Duomo e la Basilica di Sant’Ambrogio, perché è legata alla storia della mia vocazione». Monsignor Paolo Martinelli nei prossimi mesi lascerà la Diocesi, perché papa Francesco il 1° maggio lo ha nominato Vicario apostolico per l’Arabia meridionale (leggi qui il messaggio dell’Arcivescovo che annuncia la nomina). Il Vicariato comprende gli Emirati arabi uniti, l’Oman e lo Yemen, per una popolazione complessiva di circa 43 milioni di persone, dei quali un milione di fedeli cattolici.
In questa intervista rilasciata ai media diocesani, il Vescovo ausiliare e Vicario episcopale per la Vita consacrata e la Pastorale scolastica traccia il bilancio di 8 anni al servizio della Chiesa ambrosiana.
Il suo impegno in Diocesi si è sviluppato a partire dalla Vita consacrata. Come lo ha vissuto?
Sono stati otto anni entusiasmanti come Vescovo ausiliare di Milano e come Vicario, in particolare per la Vita consacrata e per la Pastorale scolastica. Sono una ricchezza enorme per le esperienze che ho potuto fare e che porterò con me in questa nuova missione. In particolare l’esperienza rispetto alla Vita consacrata. Come sappiamo è una realtà ancora molto diffusa e consistente nella Diocesi di Milano se la confrontiamo con altre Diocesi. Migliaia di uomini e donne consacrate a Dio all’interno della vita diocesana portano la ricchezza del loro carisma, della loro spiritualità, inserendosi anche nelle strutture istituzionali della Chiesa. Pensiamo al numero di parrocchie ancora affidate ai religiosi, alle scuole, ai centri di spiritualità, alle opere di carità, all’attenzione ai poveri. Vedere questa realtà, cercare di servirla mi ha aiutato molto a capire il bene che la Vita consacrata è per la Chiesa a Milano e anche dove andrò a vivere.
Infatti la presenza dei religiosi è significativa anche nella sua nuova destinazione…
Sì. Come spesso capita in questi luoghi di missione di frontiera, la vita religiosa è il punto di riferimento della Chiesa. Dove andrò la quasi totalità dei sacerdoti che agiscono pastoralmente sono appartenenti alla Vita religiosa, la maggior parte sono del mio ordine, sono Cappuccini. Inoltre vi è una presenza significativa di suore che vengono da tanti Paesi.
Nel suo servizio come Vicario episcopale si è impegnato molto anche con i consacrati provenienti da altri Paesi…
Infatti. L’altro aspetto molto importante che ho sperimentato con la Vita consacrata in Diocesi è legato al cammino fatto con l’Arcivescovo sulla Chiesa dalle genti: il riconoscimento di nuovi ambrosiani che vengono da altre culture, ma che ormai si inseriscono e sono alla seconda e terza generazione. Vedere la vita religiosa crescere in questa qualità interculturale mi ha edificato molto. Vengo dall’esperienza di più di vent’anni a Roma, città per sua natura interculturale. Ho vissuto per molti anni in un collegio internazionale di frati Cappuccini che arrivavano da tutto il mondo. Questo mi ha reso piuttosto sensibile al tema dell’interculturalità. Venendo a Milano ho trovato questa realtà di Vita consacrata di antica tradizione, dove si impara a convivere con le differenze, comunità fortemente segnate da questo carattere di internazionalità e interculturalità. Questa è una grande profezia per Milano e per la Chiesa ambrosiana.
Una presenza che arricchisce le comunità cristiane in Diocesi…
Infatti, realtà di comunità di Vita consacrata nate in altri Paesi, in altri contesti, vengono a inserirsi come ricchezza peculiare nella nostra Diocesi. Questi sono fattori che mi hanno edificato molto, ho imparato tanto da loro e credo che questo diventerà per me una ricchezza, andando a vivere in un Paese dove i cristiani stessi sono per condizione in una situazione mista, interculturale e internazionale. E così sarà anche la vita religiosa. Questo è un aspetto che mi colpisce molto e che porto nel cuore.
Lei ha citato l’esperienza di Chiesa dalle genti. Non si può dimenticare che la terra dove andrà come Vicario apostolico è un grande mosaico e che i cattolici sono una Chiesa dalle genti incarnata, venendo soprattutto dal Sud-Est asiatico. C’è qualcosa in questa esperienza milanese che potrà venirle utile anche nel nuovo incarico?
L’esperienza stessa del Sinodo minore è stata per me una ricchezza. Seguire questa grande intuizione che ha avuto l’Arcivescovo, capire che non si trattava di organizzare un po’ meglio la Pastorale dei migranti come uno dei capitoli della Chiesa ambrosiana, ma che questo è un punto di rilettura di tutte le esperienze ecclesiali. Il Sinodo minore è stato questo: siamo partiti con l’idea di riscrivere uno dei capitoli del Sinodo realizzato con il cardinale Martini, ma prendendo contatto con questa realtà ci siamo accorti che sta cambiando la forma della Chiesa. La presenza di persone che da altri continenti vengono nella Chiesa ambrosiana ci obbliga a rileggere tutta la struttura, a partire da questo elemento della pluriformità nell’unità, nell’ottica della valorizzazione delle differenze culturali, sociali, di ricchezze carismatiche presenti nel popolo di Dio. È passato qualcosa di decisivo, che è diventato anche per me un’impronta pastorale.
Una Chiesa che legge i segni dei tempi di una società che cambia profondamente…
È così, si collega al grande cambiamento culturale e sociale in atto in tutto il mondo. Penso che la premessa al percorso fatto dall’Arcivescovo con il Sinodo minore era stata la grande riflessione del cardinale Scola sull’idea del mescolamento dei popoli, del meticciato di culture e di civiltà. Il riconoscimento di un processo che accade, senza chiederci troppi permessi, e con il quale bisogna fare i conti. Di fronte ai processi non ci si può opporre, ma bisogna imparare ad abitarli, a capirne le ragioni profonde, entrare dentro. L’Arcivescovo con l’intuizione del Sinodo minore ha capito che occorreva entrare dal punto di vista ecclesiale in questo tipo di processo e cogliere la molteplicità delle culture da cui provengono oggi i nostri fedeli, capire che da qui sta nascendo una nuova forma di Chiesa. Questa ricchezza me la porto dentro, perché di fatto andrò a essere il Vicario apostolico di una Chiesa che non è diventata dalle genti, ma che nasce così: popoli che si incontrano e che imparano sul terreno della vita, della convivenza, del lavoro a riconoscere che si è insieme portatori di diversità chiamate ad arricchirsi vicendevolmente.
Negli ultimi anni ha guidato anche la Pastorale scolastica. Come valuta questa esperienza?
Aver vissuto l’esperienza di Vicario per la scuola è stato molto interessante per l’importanza che essa ha per la Chiesa. Oggi, forse più ancora che nel passato, la Pastorale scolastica è molto importante, perché ha la capacità di incontrare i giovani ogni giorno nella vita della scuola, cosa che invece facciamo più fatica a fare negli ambienti istituzionali della Chiesa. Questo mi fa subito venire in mente quello che incontrerò, perché il Vicariato dell’Arabia del Sud promuove parecchie realtà scolastiche dove abbiamo non solo ragazzi cattolici, ma anche molti musulmani e quindi anche la scuola diventa un luogo di dialogo interreligioso e interculturale.