“Malino” cioè “il pianto”, così è chiamato il funerale. Pianto non ne vedo, commozione e speranza sì, come per i funerali a Roma di Giovanni Paolo II. Migliaia e migliaia di persone, cinque Vescovi, il Nunzio Apostolico del Papa, sacerdoti di ogni colore e la delegazione civile guidata dal Vice-Presidente della Repubblica, Mister Mwape. Danze della tribù Tonga con le sue nenie struggenti guidano la processione verso l’altare nel grande piazzale della cattedrale, con il pesantissimo feretro già collocato al suo luogo finale. Lenta, devota, seria tutta la Messa ben guidata da un giovane sacerdote e presieduta da Monsignor Emilio, che parla sempre in Tonga, lingua che possiede benissimo. La predica è fatta in inglese dal “mio” Arcivescovo, tratteggiando con calma la figura davvero umile e grande del Vescovo Corboy, che aveva saputo consigliare con delicatezza la conferenza episcopale in momenti difficili. La consacrazione è accompagnata da trilli, mentre la distribuzione della Comunione è seguita dal coro sempre con toni discreti. Tante le testimonianze in lingue diverse, traduzioni comprese, il tempo non conta. Ma il momento solenne è proprio quello del calare la bara nella nuda terra, lì all’aperto, accanto alla cattedrale. Tutte le tradizioni sono seguite con calma: prima pugni di terra, poi quella gettata con i badili, le donne che ballano sopra per pressarla, poi altra terra per il cumulo, le mani che battono questa terra lisciandola e i fiori posati da ogni vescovo, sacerdote, suora, laici impegnati, amici e autorità civili. Il superiore dei Gesuiti conclude con l’ultimo discorso per lasciare al rappresentante del Papa la recita in latino del “Requiem aeternam” con la benedizione finale: “Requiescat in pace. Amen”. C’è anche il mio fiore. Un frugale pranzo accomuna i Vescovi con il Vice-Presidente dello Zambia: polenta o riso, verdura cotta e pollo, coca cola o fanta. Le ore passano, ma è importante una visita all’ospedale, dove c’è sempre tanta gente, pochi medici e poche medicine. Una parola, una preghiera, la benedizione dell’Arcivescovo per dare speranza agli ammalati e anche al giovane cappellano che ci accompagna. Nel ritorno riesco a notare le tante aziende agricole disseminate lungo la strada, mentre i villaggi sono più all’interno verso il fiume Zambesi. Raggiungiamo Lusaka nel momento del traffico: ci vuole pazienza anche qui.


Redazione

“Malino” cioè “il pianto”, così è chiamato il funerale. Pianto non ne vedo, commozione e speranza sì, come per i funerali a Roma di Giovanni Paolo II. Migliaia e migliaia di persone, cinque Vescovi, il Nunzio Apostolico del Papa, sacerdoti di ogni colore e la delegazione civile guidata dal Vice-Presidente della Repubblica, Mister Mwape. Danze della tribù Tonga con le sue nenie struggenti guidano la processione verso l’altare nel grande piazzale della cattedrale, con il pesantissimo feretro già collocato al suo luogo finale.

Lenta, devota, seria tutta la Messa ben guidata da un giovane sacerdote e presieduta da Monsignor Emilio, che parla sempre in Tonga, lingua che possiede benissimo. La predica è fatta in inglese dal “mio” Arcivescovo, tratteggiando con calma la figura davvero umile e grande del Vescovo Corboy, che aveva saputo consigliare con delicatezza la conferenza episcopale in momenti difficili. La consacrazione è accompagnata da trilli, mentre la distribuzione della Comunione è seguita dal coro sempre con toni discreti.

Tante le testimonianze in lingue diverse, traduzioni comprese, il tempo non conta. Ma il momento solenne è proprio quello del calare la bara nella nuda terra, lì all’aperto, accanto alla cattedrale. Tutte le tradizioni sono seguite con calma: prima pugni di terra, poi quella gettata con i badili, le donne che ballano sopra per pressarla, poi altra terra per il cumulo, le mani che battono questa terra lisciandola e i fiori posati da ogni vescovo, sacerdote, suora, laici impegnati, amici e autorità civili. Il superiore dei Gesuiti conclude con l’ultimo discorso per lasciare al rappresentante del Papa la recita in latino del “Requiem aeternam” con la benedizione finale: “Requiescat in pace. Amen”. C’è anche il mio fiore.

Un frugale pranzo accomuna i Vescovi con il Vice-Presidente dello Zambia: polenta o riso, verdura cotta e pollo, coca cola o fanta. Le ore passano, ma è importante una visita all’ospedale, dove c’è sempre tanta gente, pochi medici e poche medicine. Una parola, una preghiera, la benedizione dell’Arcivescovo per dare speranza agli ammalati e anche al giovane cappellano che ci accompagna.

Nel ritorno riesco a notare le tante aziende agricole disseminate lungo la strada, mentre i villaggi sono più all’interno verso il fiume Zambesi. Raggiungiamo Lusaka nel momento del traffico: ci vuole pazienza anche qui.

Ti potrebbero interessare anche: