La sua vita è testimonianza di quanto possa fare una fede seria, intelligente, fedele e nello stesso tempo non scevra da ripensamenti. Onesta, documentata, umile, poteva esporre pareri difformi da quelli della maggioranza (anche di preti) essendo ascoltata sempre con attenzione
di Marisa
SFONDRINI
Non posso che partire da ricordi personali. Mia mamma e mio papà mi hanno messa al mondo. Maria Dutto mi ha fatto stare nel mondo, mi ha fatto stare nella Chiesa. Mi ha fatto stare… perché, se non per lei che il Signore ha davvero messo in maniera esplicita sulla mia strada, forse oggi sarei soltanto una donna vecchia disillusa e sfiduciata.
Parto da me, quindi, dalla mia “avventura d’amicizia” con Maria perché non saprei fare altro, ma dentro ciò che tenterò di dire, lo “spirito” è Maria, donna bella in tutti i sensi, cara amica divenuta “sorella e madre”. È stata, se volessimo, l’avventura di due donne tanto differenti da poter stare insieme “completandosi”, ma il mio apporto è sempre stato minimo. Lei invece mi ha dato moltissimo…
Maria per me è pietra di paragone, base di confronto, proprio perché profondamente diverse; e insieme profondamente simili nella ricerca, soprattutto del volto di Dio, della capacità di vivere e di morire davanti a Dio, nella storia, con la coscienza di avere una parte, come tutti.
Maria ha giocato ruoli importanti nella Chiesa diocesana, nella Chiesa tout court. Diceva con sincerità quello che pensava, era doverosamente critica là dove la coscienza le diceva esservi da criticare, ma mai con asprezza o in modo rancoroso. Tutti l’ascoltavano perché capace di comunicare senza sconti, ma in pace. Non era affatto una “sissignore” anche con le alte cariche della Chiesa o dello Stato. Sapeva di avere un cervello pensante e se ne ricordava; diceva quindi quanto questo cervello suggeriva alle sue labbra con precisione e senza acrimonia.
Il parere di Maria era ricercato anche in Curia; certamente lo era ancora in altre istituzioni: «Sentiamo la Dutto…» non era frase che non si ascoltasse di frequente. E il suo parere contava.
Tutti conosciamo sia il suo servizio alla Chiesa (e nella società), sia nel suo lavoro come responsabile delle pubbliche relazioni dell’Università cattolica del Sacro Cuore, sulle orme di un’altra donna straordinaria, la venerabile Armida Barelli.
Maria fu prima presidente diocesana donna dell’Azione cattolica ambrosiana, quando ancora difficilmente una donna riceveva questo incarico in Italia. Dovevano esserci “un” presidente diocesano, non “una” presidente diocesana! Similmente, poi, altre donne divennero presidenti diocesane di Ac. In questo ruolo, da lei giocato con tutta la passione, l’intelligenza, lo “spirito di servizio” possibili, qui in molti la ricordiamo. Con gratitudine, penso.
Ma qui vorrei ricordarla per un altro servizio da lei generosamente svolto nella società e nella Chiesa. Devo partire ancora dalla mia personale esperienza. Negli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, come le donne erano trattate in una società prevalentemente maschile nei punti di comando soprattutto, mi faceva rabbia. Ero una protofemminista e non lo sapevo.
Maria, fin dai tempi del primo neofemminismo appena partorito dal ’68, si era attivata, aveva contattato donne cattoliche responsabili in associazioni e movimenti (dal partito alla Chiesa) per fare qualcosa insieme. Però le cose non erano andate avanti.
In Italia, il discorso era poi ripreso con il femminismo radicale e delle sinistre, un po’ vociaiolo, con qualche violenza almeno verbale, la richiesta di libertà, di aborto, eccetera. C’era il nuovo diritto di famiglia in cui si sanciva la parità dei coniugi. Si pensava a una legge che facesse finalmente diventare reato penale la violenza sessuale. Si stava realizzando un “Codice delle donne” che raccogliesse tutti i provvedimenti legislativi riguardanti appunto le donne… Si stava sviluppando una certa attenzione al tema donna anche nella Chiesa cattolica, ma con molto “juicio”.
Così nacque l’idea del Gruppo promozione donna (Gpd), cioè il gruppo di femministe (ma il vocabolo non è adeguato) cattoliche che in seguito divennero gruppo di confronto per tutte le altre iniziative di riflessione, richiesta, eccetera, dei vari gruppi di donne anche della sinistra. Si studiava, si scriveva, soprattutto si era chiamate a parlare in vari gruppi periferici… producevamo piccoli opuscoli per aiutare le donne a comprendere la propria situazione, per metterle in grado di collaborare a un miglioramento comunque…
Il cardinale Colombo, che non era certo un rivoluzionario, non si mise mai di mezzo; sapeva e non commentava, ci lasciava lavorare, sapendo che c’era la Dutto a garanzia che non si facessero stupidaggini.
Il nuovo arcivescovo Martini volle incontrare il Gpd e anche lui lasciò che lavorasse. Ci furono anni belli, in tutto una quarantina (“Nate una sera di quarant’anni fa” è il numero speciale de Il Punto, la news letter del Gpd, per sancire la chiusura del gruppo stesso).
Si sa, che a un certo momento alcuni ruoli devono essere lasciati. Per molti motivi, fra i quali c’è l’età anagrafica. Maria si era saggiamente riservata un suo “angolo”, una delle opere del Padre Gemelli, l’Opera impiegate, associazione e pensionato per donne, impiegate appunto di vario genere d’impiego, arrivate a Milano dal loro Paese, per stages, o periodi di prova, o periodi limitati di lavoro. È l’ultimo impegno che ha lasciato soltanto a causa della malattia grave. Lasciato con molto dispiacere.
Maria ha avuto la capacità di diventare l’anima di un’impresa. Così è stato per Ac, per il Gpd, anche per l’Opera impiegate. Le ospiti che l’hanno conosciuta e che sono ancora “ospiti”, certamente da questo “abbandono forzato” hanno avuto dispiacere, poiché l’atteggiamento naturalmente “materno” di Maria le aiutava. A lei si poteva dire… si poteva confessare… si poteva anche piangere sulla sua spalla… Una donna accogliente…
La vita di Maria è stata vissuta totalmente nel mondo e totalmente nella Chiesa. Dava a Dio quel che è di Dio e alla storia quello che è della storia, secondo l’intuizione che fu di padre Gemelli e di Armida Barelli, per vite “non matrimoniali”.
È questa la scelta di vita che ha permesso a Maria di essere attiva a suo tempo in politica (qualcuno le aveva proposto di presentarsi in una lista di partito, ma lei si era sottratta, perché credeva fermamente che il mondo si potesse cambiare non soltanto da Montecitorio!); di essere attiva (e ascoltata) nella Chiesa diocesana e non soltanto.
Chiesa che l’ha quasi obbligata a occuparsi dell’Azione cattolica proprio quando, negli Anni ’70 questa stava per essere dichiarata definitivamente obsoleta (di fronte alle nascenti nuove aggregazioni che si occupavano prevalentemente di laici adulti e giovani); che l’ha fatta essere membro ascoltato del Consiglio pastorale diocesano, di vari altri “istituti”.
Maria ha amato la Chiesa con tutto il possibile trasporto perché ha amato il Signore nello stesso modo. Con il Signore, niente da dire! Ma con la Chiesa fatta di donne e uomini, quindi semper reformanda… era positivamente critica, per costruire, per migliorare se possibile. Così con la società, che come l’ha vissuta negli ultimi vent’anni, diciamo, non era certamente di suo completo gradimento, anzi la criticava con durezza, ma sempre cercando in qualche maniera di realizzare qualcosa di buono, utile.
La sua vita è testimonianza di quanto possa fare una fede seria, intelligente, fedele e nello stesso tempo non scevra da ripensamenti. Onesta, documentata, umile, poteva esporre pareri difformi da quelli della maggioranza (anche di preti) essendo ascoltata sempre con attenzione, anche quando la risposta era “no”.
Aveva fatto una scelta di vita che la portava a vivere naturalmente così.