Un’attenzione specifica al bambino e all’adulto in condizioni di sofferenza al centro del convegno annuale della Pastorale diocesana, in programma il 5 maggio a Milano. Don Carlo Stucchi sottolinea l’apporto del volontariato («non possiamo perderlo, ma rafforzarlo») e l’importanza dell’ascolto («un aspetto fondamentale»)
di Luisa
Bove
«Assistenza e accoglienza, quali bisogni del malato» è il titolo del convegno annuale promosso dalla Commissione diocesana di Pastorale della salute (settore volontariato), coordinata da don Carlo Stucchi, cappellano al Pio Albergo Trivulzio di Milano, che si terrà il 5 maggio dalle 16 alle 19, presso la Sala convegni della Curia, in piazza Fontana 2 a Milano (vedi qui la locandina). Invitati a partecipare sono volontari, assistenti spirituali, cappellani, diaconi, suore, responsabili decanali di pastorale della salute, ecc (iscrizioni: sanita@diocesi.milano.it).
«Quest’anno lo scopo del convegno è quello di avere uno sguardo sul malato adulto e bambino – spiega don Stucchi -, perché è importante tenere insieme queste due figure che incrociano la malattia all’inizio della vita e in età più avanzata». L’intento è quello di creare una sinergia di vedute e di azioni da parte dei protagonisti che intervengono per rendere il percorso della malattia «più accettato e luminoso».
Per questo, dopo un saluto e l’introduzione di monsignor Luca Bressan, vicario episcopale di settore, e di don Paolo Fontana, responsabile del Servizio per la pastorale della salute, prenderanno la parola diverse figure che a vario titolo operano in ambito sanitario.
A chi sarà affidata la prima relazione?
A un medico per gli adulti e a uno per i bambini, perché sono loro i responsabili dell’integrazione del lavoro e se sono i referenti per tutte le azioni che ricadono sul malato è più facile trovare risposte e raggiungere un obiettivo unitario. Poi c’è l’infermiere, la figura più vicina al malato, che esegue e ha un contatto continuo. Lo psicologo, che oggi sta entrando progressivamente (in punta di piedi), acquisendo sempre più uno spazio importante nell’accompagnamento del malato rispetto all’emotività e alle paure: il malato infatti deve essere aiutato a trovare la chiave di lettura della sua condizione.
Al di là dei professionisti, il ruolo del volontariato è sempre stato importante…
Certo. Il volontariato è prezioso e dopo la crisi dovuta alla pandemia bisognerà vedere come si potrà riprendere. Non possiamo perdere il volontariato, ma rafforzarlo. Il volontario, come un amico di famiglia e della persona malata, porta sollievo e trasmette coraggio, serenità e normalità della vita. Da molti anni insisto sull’ascolto, aspetto tipico della pastorale della salute. Lo raccomando anche al Trivulzio, perché ritengo sia un aspetto fondamentale: aiuta a capire se l’ammalato soffre per la malattia o per un problema a casa, se il bisogno di un bicchiere d’acqua o della spinta della carrozzina esprime in realtà il desiderio di qualcosa di più. L’ascolto è la premessa necessaria per poi intervenire.
C’è però anche un ascolto più profondo, quello spirituale, anche se non è per tutti…
Quando sono arrivato al Trivulzio, parlando a un incontro di cappellani e assistenti spirituali di varie realtà sanitarie, dicevo che l’aspetto più importante è quello dell’ascolto. Io passo tra i malati ad ascoltare, non a offrire servizi religiosi, perché questo arriva dopo. Il prete o l’assistente è chiamato a confortare, per quanto possibile, fin dove il malato lo consente. Ci sono infatti ammalati gravi che dicono «tutto bene» e dopo tre giorni o una settimana muoiono, altri invece lasciano “entrare” e si crea spazio per camminare insieme. Ma voglio ricordare anche il personale amministrativo, che non è escluso dalla cura, ma opera nel rispetto delle normative per garantire al malato e ai familiari il miglior supporto logistico e legale.
In tutto questo, quanto il periodo del Covid ha influito? C’è stato un ricambio di personale sanitario? È cambiato l’approccio al malato? Ci sono fragilità in più?
Direi due aspetti, uno positivo e l’altro negativo. La struttura ha protetto i malati e gli anziani, che si sono sentiti tutelati e sereni; le preoccupazioni erano per le persone a casa e la mancanza di contatti diretti. L’assistenza è stata provvidenziale, ma abbiamo vissuto sconvolgimenti di approccio alle persone, l’esclusione da alcuni reparti o ingressi col “contagocce” in altri, il cambio di medici, le cure specialistiche per patologie accantonate per dare priorità all’emergenza virus. Dopo questa rivoluzione siamo ancora in attesa di capire come procedere. È una situazione di grande incertezza. Non saremo più le persone di prima, ma se riusciremo a elaborare ce la faremo.