Redazione
La storia di questa ventottenne è la storia di dieci, cento, mille altre ragazze attirate nel nostro Paese dalle false promesse di gente priva di scrupoli e di coscienza. Raccogliamo la sua voce, una sola fra le tante che trova il coraggio e le parole per raccontare.
Testo raccolto da Maria Angela Masino
Mi chiamo Madury, ho 28 anni, sono indiana e clandestina. Approdo a Milano, due anni fa, dopo un lungo e faticoso viaggio che gli organizzatori, miei connazionali, hanno definito “di piacere”. Tutto è cominciato un mattino di luglio: mi sono presentata in un’Agenzia della mia città (ufficialmente, un negozio di souvenir) e, dopo una frettolosa presentazione, mi hanno proposto il programma.
Partenza da Nuova Delhi e prezzo del viaggio ridotto perché ero giovane e sana e, quindi, in grado di lavorare giorno e notte. Ho consegnato il passaporto, versato un anticipo di 2.000 euro; ho accettato di dare all’organizzazione 350 euro al mese per 4 anni. Sono partita con altre 6 persone e un tutor che nel corso del viaggio, sottovoce, ci chiedeva di dimostrare coraggio, di non fiatare durante il tragitto sui camion dei container , le notti all’addiaccio nei boschi, le affettuosità da elargire a qualche poliziotto che doveva farci un favore.
Ovviamente, pensando a mio padre invalido, a mia madre malata, ai miei fratelli piccoli e affamati ho sempre risposto un sì molto convincente. Al ritmo di quelle parole ho raggiunto Praga. Poi, viaggiando un po’ nascosta nei camion che trasportano cibo, un po’ camminando a piedi e su macchine sgangherate guidate dai miei connazionali ho attraversato la Cecoslovacchia, la Germania, l’Austria e sono arrivata, insieme ai miei compagni di viaggio, a Trieste. Qui, ci hanno smistati e ognuno di noi è stato mandato in città diverse.
I problemi più grossi, che non immaginavo prima di partire, cominciano proprio qui. Appaiono, infatti, da questo momento una serie di amici del tutor che, in cambio di vitto, alloggio, lavoro chiedono un’altra quota dello stipendio. E non è possibile dire nulla perché si è privi di documenti. Ci viene chiesto di non fare colpi di testa, perché molte bocche aspettano i nostri soldi.
Mi sono stabilita in una famiglia non ricca: hanno preso me perché costavo di meno rispetto agli immigrati con il permesso. Guadagno 850 euro al mese, ma ne devo dare 350 all’organizzazione che mi ha portato in Italia, 200 al connazionale presso il quale dormo e che mi rinfaccia che i soldi non bastano. Così, per far quadrare i conti, devo lavorare tre notti al suo posto. Infine, devo versarne altri 200 all’amica che mi ha trovato lavoro. Perciò nelle poche sere libere pulisco la cucina di un pub . Ma ancora non basta: nel week end devo lavare, stirare e metter a posto le case dei miei connazionali che sono stati tanto “generosi” con me.