Redazione
La donazione degli organi è un gesto di estremo coraggio, di supremo altruismo e di infinita speranza, che nasce dal più profondo dei dolori: quello di perdere una persona cara dalla sera alla mattina, senza neanche avere il tempo di dirgli un’ultima volta «ti voglio bene». Ora, qualcosa di Laura, rivive nei corpi di altre persone.
di Stefania Cecchetti
Quando mi avvicino, in punta di piedi, alla storia di Ezio, Ornella e Alberto (e di Laura, che non c’è più), l’impressione è quella di una grande serenità. A parlare è papà Ezio: «Laura era nata il 9 giugno 1973 ed era la nostra primogenita. Una sera di agosto del 1997 siamo stati raggiunti nella nostra casa di Treviglio dai Carabinieri: venivano a dirci che nostra figlia aveva avuto un incidente. Stavo tornando da Milano. Quel giorno ero stato inquieto, al lavoro: avevo una gran voglia di tornare a casa, come se sentissi che qualcosa di molto grave stava per accadere. Entrando non mi sorpresi di trovare i Carabinieri, tanto che loro mi chiesero se avevo già saputo qualcosa». Laura si trovava nel Viterbese, con alcuni amici: una tranquilla vacanza culturale spezzata alle due del pomeriggio, in pieno giorno, da un camion con problemi all’apparato frenante.
«Quando siamo stati informati che Laura si trovava in coma profondo – prosegue Ezio -, siamo partiti da Treviglio alla volta dell’ospedale San Camillo di Roma, dove lei nel frattempo era stata ricoverata, trasportata in eliambulanza da Viterbo. Arrivati in rianimazione, nel giro di poche ore Laura è passata dal coma profondo al coma irreversibile. Già prima di questo passaggio, però, io, mia moglie e mio figlio Alberto avevamo deciso di fare espiantare gli organi e di donarli».
Ecco tutto. Una storia così grande potrebbe anche finire così, raccontata in due parole. Perché in fondo le cose più importanti non possono essere dette: «Tutto è andato bene: hanno prelevato cornee, fegato, reni e polmoni, che sono stati impiantati in pazienti ricoverati all’Umberto I. Non abbiamo mai voluto conoscerli, per rispetto, ma per un anno intero abbiamo seguito le loro vicende attraverso i medici: volevamo essere sicuri che tutto procedesse per il meglio, che non ci fossero rigetti. Poi più nulla: l’ultima notizia che abbiamo avuto, prima di abbandonare questo discorso, è che tutti stavano bene. Ringraziamo Dio che qualcosa di Laura abbia potuto rivivere in corpi di altre persone, tormentate dalla sofferenza. Dalla sua morte sono nate nuove vite».
Ezio racconta come una scelta così importante sia maturata in un arco di tempo brevissimo: «La nostra non è stata in nessun modo una scelta indotta. Nessuno ci ha chiesto niente, siamo stati noi a chiedere informazioni a un medico della terapia intensiva, perché fino a quel momento non sapevamo nulla sulla donazione degli organi. Il dottore ce ne ha parlato e ha subito predisposto le carte. Io le ho firmate, dando così l’autorizzazione all’espianto. Sono trascorse le ore previste dalla legge, dopodiché hanno preparato Laura, l’abbiamo vista uscire dall’ospedale e quella è stata l’ultima volta che l’abbiamo vista su una lettiga. Da lì l’abbiamo accompagnata, seguendo la Croce Rossa dal San Camillo all’Umberto I, dove l’abbiamo lasciata per sempre. L’abbiamo poi aspettata dopo alcuni giorni a Treviglio, dove è stato celebrato il funerale».
Quando chiedo a Ezio le motivazioni del loro gesto, mi risponde con grande serenità: «In noi è vivo un cammino di fede, iniziato tanti anni fa. Un cammino che si è costruito passo dopo passo, giorno dopo giorno. Siamo arrivati a quel momento accompagnati dal Padreterno, provvidente e previdente, che ci segue e ci insegue, che ci interpella continuamente e al quale abbiamo risposto sì in tante cose, tra cui anche questa. Èil cuore che ci ha detto di farlo e nel cuore qualcuno aveva seminato quel pensiero: Dio».
Lascio Ezio tornare al suo impegno di volontariato: mi ha parlato dalla casa di riposo di Treviglio, dove presta servizio regolarmente. Nello stesso momento sua moglie si trova in ospedale, a visitare i malati. Altre tappe del loro cammino.