Il conflitto in Ucraina ha accentuato distanze e provocato distacchi in questa significativa componente della cristianità. Il diacono Roberto Pagani illustra la complessità della situazione e le sue ricadute nel territorio diocesano

di Annamaria Braccini

Una situazione, quella del conflitto in Ucraina, che ha pesanti ripercussioni anche religiose: basti pensare che alcuni fedeli ortodossi ucraini hanno preferito celebrare il Natale il 25 dicembre (e non nella data tradizionale del 6 gennaio) o che sono circa 6 milioni i profughi provenienti dall’Ucraina sparsi nel mondo in questo ultimo anno, molti dei quali in Italia e tanti a Milano. Insomma, «quella geografia molto complicata» che spiega il diacono Roberto Pagani: «Oggi, in Ucraina, siamo in presenza di quattro Chiese ortodosse e due Chiese cattoliche; per quanto riguarda la realtà cattolica, abbiamo quella greco-cattolica di rito bizantino, che conta circa cinque milioni di fedeli, e quella latina, prevalentemente di origine polacca. A Milano abbiamo praticamente solo i greco-cattolici».

Le Chiese ortodosse, invece, da tre sono ora diventate quattro…
Sì. Ora in Ucraina – oltre alla Chiesa in comunione con il Patriarcato di Mosca – c’è quella che nel 2019 è stata riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli (Chiesa autocefala dell’Ucraina) e da altre tre Chiese ortodosse, per un totale di quattro Chiese sulle 20 che compongono il panorama ortodosso di matrice bizantina. C’è inoltre una terza Chiesa ortodossa, il cosiddetto Patriarcato di Kiev, esiguo dal punto di vista numerico: circa un terzo dei cristiani ortodossi appartiene alla Chiesa autocefala e 2/3 alla Metropolia di Kiev, legata al Patriarcato di Mosca. In questi ultimi mesi lo Stato ucraino ha espropriato molte chiese legate a Mosca, concedendole alla Chiesa autocefala, di carattere marcatamente nazionalistico. Per far fronte a questa situazione, a fine maggio il Sinodo della Chiesa ucraina del Metropolita Onufrij ha dichiarato a maggioranza la propria indipendenza dal Patriarcato di Mosca, ma questa al momento non è ancora stata riconosciuta da nessuna altra Chiesa ortodossa. Al suo interno ci sono anche una parte della gerarchia e dei fedeli che non vogliono staccarsi dal Patriarcato di Mosca.

E nel contesto diocesano?
Abbiamo 14 luoghi di culto concessi al Patriarcato di Mosca per le loro liturgie. In sette di questi celebrano preti ucraini, ma molti fedeli hanno smesso di frequentarli per non pregare per il Patriarca di Mosca, Kirill. Per lo stesso motivo sono stati inviati da noi, in maniera più o meno organica, dei sacerdoti appartenenti alla Metropolìa di Kiev, che chiedono di aprire parrocchie direttamente dipendenti dal Metropolita Onufrij. Alla vigilia della solennità di Sant’Ambrogio, nel giorno in cui l’Arcivescovo ha pronunciato il suo Discorso alla Città, abbiamo ricevuto il rappresentante di Onufrij, con una lettera del Metropolita indirizzata all’Arcivescovo per chiedere di mettere a disposizione chiese o spazi in cui i fedeli che si riconoscono nella sua Metropolia possano ritrovarsi a pregare.

Succederà?
Umanamente siamo assolutamente disponibili, perché la vediamo una cosa necessaria: moltissimi fedeli hanno bisogno di essere sostenuti e guidati in una fase così difficile della loro vita con una ferita nella ferita della guerra per coloro che sono di nascita ucraina, ma di appartenenza religiosa al Patriarcato russo. Abbiamo sentito, naturalmente, anche il Metropolita Antonij, rappresentante del Patriarcato di Mosca, da cui dipendono tutte le parrocchie all’estero. La situazione non è semplice, perché da un lato esiste un bisogno significativo, dall’altro vi è il rischio di contribuire a rafforzare una separazione nel mondo ortodosso anche nelle nostre terre.

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