Redazione

Rosa ha 34 anni ed è figlia di Renato Locati, uno dei primi diaconi ordinati in diocesi. Da sempre ha vissuto la decisione del padre come un fatto da accettare, anche se in realtà il ministero diaconale non ha mai sconvolto gli equilibri familiari. Rosa è impegnata nel volontariato internazionale e ha passato tre anni con il Coe in Africa.

di Ylenia Spinelli

Come hai accolto la decisione di tuo papà di farsi diacono?
Bello il verbo “accogliere”, io invece ho sempre pensato ad un’imposizione o per lo meno a un dato di fatto da accettare e di cui farsene una ragione. Non ricordo i pensieri precisi del momento in cui mi è stata comunicata questa decisione, credo comunque che sia stata una cosa del tipo: «il solito esibizionista, perché non posso avere un papà normale come tutti i miei amici?».

Quanti anni avevi?
Le prime volte che in famiglia ho sentito parlare di diaconato avevo più o meno 13-14 anni e nel ‘90 (data dell’ordinazione di mio papà) ne avevo 17: piena adolescenza. Se posso permettermi un’osservazione, direi che mio papà non poteva scegliere momento peggiore.

Cosa conoscevi del diaconato?
Non conoscevo nulla e, a dir la verità, anche adesso non è che sia proprio preparatissima sull’argomento. Comunque devo dire che mio papà e mia mamma hanno sempre risposto alle domande (poche!) che all’inizio ponevo, poi col tempo, osservando e ascoltando, ho imparato a darmi le risposte da sola.

Hai mai pensato che la scelta di tuo papà potesse influire, magari negativamente, sui vostri equilibri familiari?
No, non ho mai pensato a cosa sarebbe potuto succedere alla mia famiglia e poi tra i 15 e i 20 anni io ero tutta presa a pensare a cosa stava succedendo a me. Non ho mai pensato che la scelta di mio papà potesse sconvolgere le nostre dinamiche familiari, nella pratica è cambiato poco: già prima di diventare diacono mio papà era impegnato in parrocchia e spesso alla sera era fuori per le varie riunioni, quindi per me e mio fratello non è cambiato niente. L’unica cosa è che dovendo andare spesso a S. Michele di Rho (la parrocchia dove ha svolto per tanti anni il suo "ruolo") ci si doveva mettere d’accordo per l’utilizzo della macchina.

Non ti ha mai creato imbarazzo dire ai tuoi amici di avere un papà diacono?
Mah, più che imbarazzo era un problema il non sapere cosa rispondere alle domande che mi facevano, comunque raramente toccavano l’argomento e solo nei primi mesi in cui in parrocchia si è parlato della cosa, poi per fortuna questa storia del diaconato non se l’è filata più nessuno o, meglio, è diventata una normalità. Comunque credo che sì, un po’ di vergogna l’ho provata, o forse era più un misto tra vergogna e fastidio.

Accetteresti un marito diacono?
Non ho mai considerato questa possibilità e comunque potendo scegliere preferirei che mio marito non prendesse questa decisione: un diacono in famiglia basta e avanza! Ma se dovesse capitare…se è sopravvissuta mia mamma…

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