Dal XV Rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre (biennio 2018-2020), emerge che il 67% della popolazione mondiale vive in contesti in cui si verificano gravi violazioni della libertà religiosa. Forte impatto del Covid-19, con restrizioni sproporzionate sulla pratica religiosa e sul culto
di Daniele
ROCCHI
Agensir
«I due terzi della popolazione mondiale (67%) vivono in Paesi in cui le violazioni della libertà religiosa avvengono in una forma o nell’altra, e i cristiani sono il gruppo maggiormente perseguitato. È una situazione che si è consolidata nel corso dei secoli, passando da una radice di intolleranza alla discriminazione, fino ad arrivare alla persecuzione».
La denuncia è contenuta nella XV edizione del Rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acn) sulla libertà religiosa nel mondo, diffuso oggi nelle 23 sedi della Fondazione di tutto il mondo. Il testo non limita il proprio esame alle violazioni ai danni dei cristiani, e dei cattolici in particolare, ma abbraccia «le dinamiche persecutorie e discriminatorie» sofferte nell’ultimo biennio (agosto 2018 – novembre 2020) dai credenti di ogni religione.
Crescono persecuzione e oppressione. Dal Rapporto emerge un aumento significativo della gravità delle violazioni relative alle categorie della persecuzione e dell’oppressione: «La libertà religiosa è violata in 62 Paesi del mondo su un totale di 196 (31,6%), dove vivono circa due terzi della popolazione mondiale. Il numero di persone che risiedono in questi Paesi sfiora, infatti, i 5,2 miliardi, poiché tra i peggiori trasgressori vi sono alcune delle nazioni più popolose del mondo come Cina, India, Pakistan, Bangladesh e Nigeria».
In 26 dei 62 Paesi la violazione ha le forme di una vera e propria persecuzione (categoria rossa), nei restanti 36 si parla di discriminazione (categoria arancione). Il Rapporto elenca ulteriori 24 Paesi posti “sotto osservazione” poiché nel biennio 2018-2020 sono emersi «nuovi elementi che destano preoccupazione come crimini di odio con un pregiudizio religioso e atti di vandalismo». Tutti gli altri Paesi non sono classificati nel Rapporto «ma ciò non significa che in tali nazioni il diritto alla libertà religiosa sia pienamente rispettato». Protagonisti di queste violazioni sono le reti jihadiste transnazionali che si diffondono lungo l’Equatore e aspirano ad essere “califfati” transcontinentali, terroristi islamisti dotati di sofisticate tecnologie digitali per reclutare, radicalizzare e sferrare attacchi. Ma anche i governi autoritari e i gruppi fondamentalisti che hanno intensificato la persecuzione religiosa come testimonia l’ascesa di movimenti di nazionalismo religioso nei Paesi asiatici a maggioranza induista e buddista. Armi contro le minoranze religiose sono le violenze sessuali e crimini contro bambine, ragazze e donne, che vengono rapite, violentate e obbligate a cambiare la loro fede attraverso conversioni forzate. Non mancano repressive tecnologie di sorveglianza che prendono sempre più di mira i gruppi di fedeli. L’abolizione dell’educazione religiosa nelle scuole, soprattutto in Occidente, ha favorito la crescita della radicalizzazione e indebolito la comprensione interreligiosa tra i giovani. Lo stesso può dirsi per la cosiddetta “Persecuzione educata”, termine che riflette l’ascesa di nuovi “diritti” o norme culturali che, come afferma papa Francesco, consegnano le religioni alla sfera privata della vita delle persone. Queste nuove norme culturali, sancite dalla legge, fanno sì che i diritti dell’individuo alla libertà di coscienza e di religione entrino in un profondo conflitto con l’obbligo giuridico di rispettare queste norme.
Categoria Rossa: in questo elenco figurano 26 Paesi in cui vivono 3,9 miliardi di persone, ovvero poco più della metà (il 51%) della popolazione mondiale. Dodici sono Stati africani (Mali, Nigeria, Burkina Faso, Camerun, Niger, Ciad, R.D. Congo, Eritrea, Mozambico, Gibuti, Somalia, Libia) e 2 sono Paesi dove sono in corso indagini per un possibile genocidio: Cina e Myanmar (Birmania).
Nell’Africa sub-sahariana, le popolazioni sono sempre state storicamente divise tra agricoltori e pastori nomadi, con occasionali focolai di violenza, derivanti da conflitti etnici e basati sulle risorse, esacerbati ora dal cambiamento climatico, dalla crescente povertà e dagli attacchi di criminali armati. Frustrazioni, spiega il Rapporto, che hanno favorito l’ascesa di militanti islamici, sia locali che stranieri, e di gruppi jihadisti transnazionali impegnati in una persecuzione mirata e sistematica di quanti non accettano l’ideologia islamista estrema, siano essi musulmani o cristiani.
Mentre la libertà religiosa in Africa soffre a causa delle violenze intercomunitarie e jihadiste, in Asia la persecuzione dei gruppi religiosi è principalmente ad opera di dittature marxiste. In Corea del Nord e in Cina, denuncia Acs, la libertà religiosa è inesistente, così come la maggior parte dei diritti umani. Il regime di Kim Jong-un può essere definito come “sterminazionista”. In Cina, dove quasi 900 milioni di persone su una popolazione di 1,4 miliardi, si auto-identificano come aderenti a qualche forma di spiritualità o religione, il controllo da parte del governo è implacabile. Ciò si evince in particolare dall’internamento di massa e dai programmi coercitivi di “rieducazione” che vedono coinvolti più di un milione di uiguri (musulmani sunniti), nella provincia di Xinjiang. Tra il 2018 e il 2020, il Myanmar (Birmania) si è spinto fino a compiere il peggior crimine contro l’umanità, il genocidio. Le aggressioni in corso contro i cristiani e gli indù nello Stato di Kachin sono state compiute all’ombra di un massiccio attacco a più fasi da parte dell’esercito e di altri gruppi armati contro la popolazione Rohingya a maggioranza musulmana, nello Stato di Rakhine. Una grave sfida alla libertà religiosa in Asia viene anche dai crescenti movimenti di nazionalismo etno-religioso in India, Pakistan, Nepal, Sri Lanka, Thailandia.
Categoria arancione: questa classificazione comprende 36 Paesi, con un totale di 1,24 miliardi di abitanti (16% della popolazione mondiale), in cui il diritto alla libertà religiosa non è costituzionalmente garantito. Ne fanno parte, tra gli altri, gli Emirati arabi uniti, la Turchia, il Venezuela, il Qatar, l’Iraq, la Siria, il Brunei, il Kuwait, il Vietnam e l’Azerbaijan. Sono stati identificati leggeri miglioramenti in 9 Paesi (tra cui Uzbekistan e Cuba), mentre in 20 nazioni la situazione sta peggiorando complice l’approvazione di leggi inique rispetto al trattamento dei gruppi religiosi.
In Turchia il presidente Erdoğan ha messo da parte il laicismo di Atatürk e introdotto una politica estera neo-ottomana che fa della Turchia una potenza globale sunnita. Come dimostrato dalla conversione dell’Hagia Sophia di Istanbul in una moschea, l’Islam è promosso in ogni aspetto della vita pubblica. A livello internazionale, Erdoğan ha deciso interventi militari in Libia, Siria, Iraq settentrionale e nell’ambito della guerra tra Armenia e Azerbaijan. Ankara ha anche cercato di influenzare la libertà religiosa in Albania, Bosnia, Kosovo e Cipro. Gli Stati del Medio Oriente, dell’Asia meridionale e centrale, nonché le ex Repubbliche sovietiche e le nazioni limitrofe, hanno approvato leggi per impedire l’espansione di quelle che considerano religioni straniere e al tempo stesso a vietare ‘l’Islam non tradizionale’. La libertà di culto è garantita, ma manca una piena libertà religiosa.
“Sotto osservazione”: sono 24 i paesi sotto la lente di osservazione del Rapporto di Acs: tra questi Gambia, Costa d’Avorio, Kenya, Cile, Haiti, Cambogia, Filippine, Israele, Libano, Russia, Bielorussia e Ucraina. Si tratta di nazioni dove si è registrato un aumento dei crimini di odio con un pregiudizio religioso ai danni di persone e proprietà. Questi reati vanno dagli atti di vandalismo contro i luoghi di culto e i simboli religiosi, tra cui moschee, sinagoghe, statue e cimiteri, ai crimini violenti contro i leader religiosi e i fedeli.
Persecuzione e Covid-19
Anche il Covid-19 ha avuto un forte impatto sulla libertà religiosa con «restrizioni sproporzionate sulla pratica religiosa e sul culto, negazione degli aiuti umanitari alle minoranze religiose, stigmatizzazione dei gruppi religiosi accusati di diffondere il virus». Gli Stati, segnala Acs, si sono serviti dell’insicurezza causata dal Covid-19 per aumentare il controllo sui loro cittadini, e gli attori non statali hanno approfittato della confusione per reclutare, espandersi e provocare crisi umanitarie più ampie. La malattia non ha soltanto rivelato le mancanze nelle diverse società, ma ha esacerbato le fragilità esistenti legate a fattori quali povertà, corruzione e strutture statali inadeguate. Preesistenti pregiudizi sociali contro le comunità religiose minoritarie hanno inoltre portato a un aumento delle discriminazioni. Significativo in tal senso è il caso del Pakistan, dove le associazioni caritative musulmane hanno negato ai cristiani e ai membri di gruppi di fede minoritari l’accesso agli aiuti sanitari e alimentari.