Il legame tra la Comunità maronita a Milano e i fedeli ambrosiani è sempre più stretto, dopo che il cardinale Scola ha affidato a don Assaad Saad la chiesa di Santa Maria della Sanità in via Durini, vicino a piazza San Babila.
di Claudio
Urbano
La Chiesa cristiana maronita è nata nel IV secolo dalla comunità riunitasi attorno al monaco Maroun (poi san Marone) ad Antiochia, nel nord del Libano, ed è da sempre unita alla Chiesa di Roma. Il legame tra la Comunità maronita a Milano e i fedeli ambrosiani è sempre più stretto, dopo che il cardinale Scola ha affidato a don Assaad Saad la chiesa di Santa Maria della Sanità in via Durini, vicino a piazza San Babila. La conoscenza reciproca e la partecipazione all’Eucaristia sono favorite dalla somiglianza del rito cristiano-maronita a quello cattolico.
«La liturgia è molto simile alla vostra», conferma don Assaad, e infatti quello maronita è il più semplice tra i riti orientali. Tra le particolarità c’è l’utilizzo dell’aramaico (la lingua di Gesù) nelle formule d’invocazione dello Spirito Santo sul pane e il vino e nella consacrazione. Alcune parti della Messa sono in arabo, e questo porta di fatto la Comunità maronita a essere la parrocchia di tutti i cristiani di origine medio-orientale presenti in città: iracheni, siriani, turchi. «Qui ci troviamo bene, siamo una comunità aperta e accogliente», precisa don Assaad. La semplicità del rito favorisce comunque la partecipazione alla Messa anche di diversi italiani. Don Assad è stupito dalla devozione dei milanesi a san Charbel Makhluf, monaco taumaturgo maronita del XIX secolo, elevato agli altari da Paolo VI.
Anche l’avvicinamento al Natale è analogo. Per i cristiani maroniti l’anno liturgico si apre con le domeniche dette «del rinnovamento» e «della purificazione della Chiesa», che introducono la comunità all’Avvento, scandito dagli episodi del Vangelo di Luca che precedono la nascita di Gesù, dall’annuncio a Zaccaria all’Annunciazione, fino alla nascita di Giovanni Battista. La Messa della notte è preceduta dalla cena di tutta la Comunità. «Un momento conviviale ben preparato, dove condividiamo il cibo – prosegue don Assaad -; quindi l’ingresso in chiesa portando in processione la statua del Bambino, deposto nella mangiatoia. Lo scambio degli auguri e i dolci vengono dopo la celebrazione. Tradizionali sono i maamoul (biscotti di pasta farciti con datteri, fichi o frutta secca) e il meghli, un budino di riso insaporito con anice e cumino e guarnito con granella di noci o cocco: è il dolce tipico con cui noi libanesi festeggiamo una nascita, e dunque trova il suo posto anche a Natale».
È la Comunità stessa a pensare ai doni per i più piccoli, scambiati anch’essi dopo la Messa: «È un segno», sottolinea don Assaad, slegato dall’eventuale difficoltà economica delle famiglie. La maggior parte dei libanesi presenti in città sono infatti professionisti, arrivati in Italia negli anni della guerra civile in Libano, oltre a diversi universitari giunti a Milano per un periodo di studio, seguiti sempre da don Assaad: «Tutti i fedeli sanno quindi l’italiano molto meglio di me», scherza il sacerdote, arrivato solo tre anni fa.
(da «Il Segno», dicembre 2018)