In Duomo, l’Arcivescovo ha presieduto la celebrazione della Passione e della Deposizione del Signore. «Che il mondo si scuota e ogni prigione di morte sia demolita dal grido che invoca Dio»
di Annamaria
Braccini
«In questo buio della storia già ascoltiamo la promessa, già crediamo alla voce amica e affidabile: Gesù, luce del mondo, attraversa le tenebre e continua ad essere luce».
L’Arcivescovo, che presiede la Passione e la Deposizione del Signore, in Duomo – concelebrata dai membri del Capitolo metropolitano e da alcuni appartenenti al Cem, tra cui il vescovo monsignor Paolo Martinelli e il vicario episcopale per la Zona I-Milano, monsignor Carlo Azzimonti -, scandisce parole forti e chiare non solo per i tanti fedeli riuniti in Cattedrale e collegati in Tv o sulla rete, ma per tutti noi che viviamo oggi le tenebre della guerra, della povertà, della follia incombente.
Le tenebre della storia
Accanto all’altare maggiore, spogliato nel momento in cui la lettura della Passione di Matteo ricorda la morte di Gesù (è l’unica volta, durante l’anno per un’antica tradizione della chiesa cattedrale, che l’Arcivescovo legge personalmente il Vangelo), infatti, monsignor Delpini sottolinea. «In pieno giorno, il buio; in piena civiltà, la barbarie; in piena ripresa, la rovina; in piena Europa, la guerra; in piena intelligenza, l’assurdità».
«È una raccolta di notizie della cronaca odierna: l’illusione di essere originali, illuminati, artefici di un’epoca di pace, di ragionevolezza, di solidarietà, di benessere è finita da un pezzo», osserva ancora.
Come attraversare, dunque, da cristiani queste tenebre? Con Colui che non abbandona mai e che dice, “Continuerò ad essere luce”.
La luce che rischiara il buio della storia
«La tenebra è su tutta la terra, invade anche la politica inconcludente, la politica rinunciataria di Pilato. La pressione popolare, la crisi del consenso, l’umore incontrollabile delle folle spaventano il buon senso, incrinano e contrastano un esercizio buono del potere. Entra la tenebra nei palazzi del potere. “Continuerò ad essere luce”, a testimoniare la via della regalità che si fa servizio, della fortezza che sta dalla parte della giustizia, dei deboli, della sapienza che dice la verità, del rischio che si deve correre per la coerenza».
E così anche di fronte alle tenebre rappresentate dalla truppa violenza dei soldati di 2000 anni fa. «Il potere dell’uomo sull’uomo acceca la mente e scatena le passioni più ignobili. La crudeltà che umilia e tortura è una vergogna per l’umanità e coloro che la compiono ne sono forse segnati e tormentati per tutta la vita, che siano militari in guerra o sicari della malavita o bande di fanatici. Ma “io continuerò ad essere luce”, a suggerire il rispetto per sé stessi e il rispetto per i deboli, a commuoversi davanti all’ingiusto soffrire, a consolare le vittime e chiamare i carnefici a conversione. La tenebra abita nelle passioni della folla, nel contagio incontenibile di emozioni incontrollabili, di notizie manipolate che diventano convinzioni indiscutibili. Le folle sono esposte all’inganno, al convincimento che conduce alla sommossa, alla trasgressione. Nella folla il grido di pochi agguerriti, asserviti a un risentimento, a una paura o a un interesse perverso, diventa il grido di voci innumerevoli che spaventano e travolgono. “Continuerò ad essere luce” per trasformare la folla in popolo di persone libere e di pace».
E nemmeno la religione è immune dal buio della storia quando è «una degenerazione della pratica religiosa sclerotizzata in un sistema di potere, in un’ideologia. La religione, il tempio e i capi dei sacerdoti – prosegue il vescovo Mario – sono esposti alla tentazione di cercare in Dio l’alleato delle loro ambizioni, la conferma delle loro convinzioni, lo strumento del loro potere. “Continuerò ad essere luce” per smentire chi non dice cose rette a proposito di Dio, il quale vuole che tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verità».
«Forse così si può intendere la nostra vita, un intervallo nel buio, invocando le tre del pomeriggio: che qualche cosa scuota, infine, il mondo e si manifesti il Santo dei Santi e ogni prigione di morte sia demolita dal grido che invoca Dio».
Una fede da vivere nell’adorazione della Croce, che in Duomo viene portata in processione dall’ingresso fino all’altare maggiore con le soste in cui fedeli elevano, in ginocchio, il “Venite, adoriamo”. Fede confermata nella preghiera universale – la più solenne dell’anno liturgico, con le sue undici orazioni che paiono abbracciare il mondo intero, dal Papa alla Chiesa, dai fratelli maggiori ebrei ai cristiani di tutte le Confessioni, da chi non crede ai governanti e ai defunti 3 a chi è in guerra -, per arrivare, infine, al ricordo della Deposizione del Signore. Quando, alla conclusione, con le 2 letture dal profeta Daniele e, ancora, con la continuazione del Vangelo di Matteo, la dove si era interrotto, tra le navate scende il silenzio e viene velata la Croce.