Il convegno annuale della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale ha messo a tema le implicazioni etiche in un processo di costruzione dell’«ecologia integrale»
di Annamaria
BRACCINI
«Come l’economia può contribuire a rafforzare il legame sociale senza accontentarsi di rivolgersi a sciami di individui consumatori? A quali condizioni l’incentivo del merito non fornisce l’alibi all’individualismo della competizione cinica? L’indice della ricchezza può prevedere lo scorporo della fraternità e della sostenibilità? Il bene comune è un ideale paternalista?». Sono tanti e complessi gli interrogativi – per usare le parole di don Massimo Epis, preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, – su cui ha incentrato la sua attenzione il convegno annuale dell’ateneo dedicato al tema «Homo oeconomicus? Esigenze etiche e provocazioni teologiche».
Da uno studio del quadro di riferimento per arrivare ad alcune categorie-chiave come responsabilità, sostenibilità, bene comune, la giornata di studi si è articolata in due diversi panel della mattinata e del pomeriggio, attraverso le relazioni di qualificati economisti e docenti con la moderazione, rispettivamente, di Markus Krienke e Pier Davide Guenzi, professori di Morale presso la Ftis.
Deificazione e demonizzazione del mercato
L’analisi economica dei nuovi scenari è stata affidata a Alberto Bisin, docente alla New York University e membro di vari istituti di ricerca: «Il mercato ha indiscutibilmente un ruolo centrale con una prova di riscontro nel primo teorema del benessere, che sostiene che ogni equilibrio di mercato è efficiente, sotto certe condizioni. L’idea è una sorta di deificazione del mercato, ma le condizioni sono difficilissime da realizzare nella realtà come l’avere mercati perfettamente concorrenziali», ha affermato l’economista, che ha voluto definire alcuni stereotipi che pesano da sempre su una visione negativa del mercato e dei profitti: «Da questo punto di vista, anche per la mia pratica accademica con gli studenti, posso dire che molto spesso più che homo homini lupus le persone sono animate da un profilo di homo amicus».
«La responsabilità è diventata una parte centrale del sistema dell’etica negli ultimi anni, con il modello fondato sulla coscienza che contempla un prendersi cura non solo di chi è vicino, ma di tutti gli esseri viventi, in una visione che rispetta tutto ciò che vive», ha sottolineato da parte sua Davide Maggi, ordinario di Economia aziendale presso l’Università del Piemonte Orientale. «Tuttavia – ha aggiunto -, il contesto della globalizzazione e l’avanzare impetuoso del pensiero tecno-scientifico definiscono quel “tutto è connesso” che nasconde interessi forti e la formazione di un pensiero unico. Prendersi cura significa avere a cuore lo sviluppo umano integrale, non solo in termini di profitto o di crescita economica che sono, ovviamente, concetti più ristretti dello sviluppo. Si tratta di mettere in relazione la crescita economica con le politiche sociali e la sostenibilità ambientale. Questo argomento non può interessare una sola Nazione, ma deve coinvolgere tutti i Paesi, basti pensare all’Agenda 2020, la piattaforma europea contro la povertà, per rafforzare la cooperazione tra i Paesi della Ue, con obiettivi quali la coesione economica, sociale e territoriale, nonché l’inclusione delle persone che vivono in povertà. Abbiamo bisogno di un’etica di solidarietà e cooperazione a livello di umanità».
La sfida della sostenibilità
Sulla «cura della sostenibilità per l’obiettivo di uno sviluppo reale», si è soffermata la comunicazione di Elena Beccalli, preside della Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica: «Negli ultimi anni la sostenibilità è divenuta rilevante per banche, investitori, imprese, nonché per autorità di regolamentazione e vigilanza, ma rimane declinata soprattutto in un contesto ambientale. In ambito bancario e finanziario è diventato, così, comune ricorrere ad altre due categorie per qualificare la sostenibilità: una di natura sociale e l’altra relativa alla governance. Nella gestione aziendale e nelle attività di investimento, è ormai scontato l’utilizzo dell’acronimo ESG (Environmental, Social, Governance), che esprime tuttavia una prospettiva più limitata rispetto alla sostenibilità secondo la Dottrina sociale della Chiesa».
Ma è proprio nell’intersezione tra sostenibilità ambientale e sociale che, per Beccalli, si pone la questione di fondo, «altrimenti resta alto il rischio di pratiche opportunistiche, come il greenwashing che porta all’uso dell’ESG come un “segnalatore” di virtù per mascherare illeciti, anche gravi, all’interno delle società». Essenziale, dunque, «non tralasciare il nesso tra sostenibilità ambientale e sociale per evitare ulteriori disuguaglianze. È necessario comprendere l’importanza di tutti gli aspetti della sostenibilità – ambientali e sociali – in quella logica di “ecologia integrale” tracciata da papa Francesco nella Laudato Si’».