Redazione

Pubblichiamo alcuni stralci dell’omelia che il 3 aprile 1960 il cardinal Montini pronunciò in occasione della traslazione di don Carlo Gnocchi dal cimitero Monumentale di Milano al Centro “S. Maria Nascente” di via Capecelatro.

di Giovanni Battista Montini
Arcivescovo di Milano (1954-1963)

«Quando nei momenti più tragici della ritirata egli promise ai morenti che sarebbe diventato il padre dei loro figli, e quando, a guerra finita, egli guardò alla pietà immensa di file e file di ragazzi e bambini mutilati dalla cieca crudeltà della guerra, la sua anima completamente si rivelò: era un soldato della bontà. Darsi per il bene degli altri, consolare, sorreggere, rieducare, far vivere: questa era la sua milizia, questa la sua vocazione. Eroi eravate tutti: ma lui, per giunta, era un santo.

Questa è lezione difficile; ma qui ne intravediamo la verità. Qui, proprio qui, si manifestano le opere di Dio! Qui noi intravediamo la sapienza e la potenza del bene che nel male si palesa e trionfa; qui siamo consolati, come non meglio potremmo esserlo, sulla tomba del buon sacerdote a noi così presto rapito, se vediamo che, monumento alle umili ceneri di don Carlo Gnocchi, sporge questa stupenda istituzione dedicata al mistero del dolore innocente.

Questa è la scuola di gentilezza, di cavalleria, di umanità, che redime nel nostro Paese tante debolezze e lo innalza tra i più civili del mondo; l’eterna scuola, che ancora tiene cattedra nella nostra società profana, quando sembra che sia troppo difficile, davanti a malanni troppo gravi ed esigenti, dare precetti che non siano parole, ma esempi; dare esempi che non siano vanto, ma sacrifici; dare sacrifici che non siano momentanei, ma perenni. Èl’eterna scuola della carità cristiana. Don Carlo Gnocchi vi è maestro.

Veniamo per onorare un fratello che ci ha ricordato questo grande dovere, di curvarci verso gli infelici più bisognosi e più meritevoli del nostro interessamento. Veniamo per lasciare che l’esempio della pietà coraggiosa di don Gnocchi ci commuova, ci parli, ci induca a ripetere il suo gesto amoroso verso tanti piccoli sventurati; e ci insegni, ancora una volta, che il bene è più forte del male, quando vuole esserlo; che non vi è piaga umana del tutto incurabile; che in una società civilmente e cristianamente ordinata le sventure altrui sono un dovere comune; che non vi è opera più nobile e gioia più commovente di quella che si prodiga a favore dei più deboli».

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