Con una celebrazione eucaristica in Duomo, presieduta dall’Arcivescovo, sono stati festeggiati i Giubilei di professione religiosa e di vita consacrata. «Una persona consacrata è segno della gloria di Dio»
di Annamaria
Braccini
Le donne capaci di inquietare, di sconvolgere, ma non nel senso che, oggi, la maggioranza delle persone intenderebbe, ma nel vero significato dell’essere l’immagine di una fede viva «che sconvolge e scuote i discepoli stolti e lenti di cuore, dal volto triste, deluso, con lo sguardo ottuso, incapace di riconoscere Gesù». Donne che, invece, sono liete, pur nella difficoltà, che sanno avere coraggio e «andare oltre le apparenze e lo scetticismo». Donne «della fedeltà, della libertà, della gioia, del mattino presto e che parlano con gli angeli».
Insomma, donne alle quali è bello somigliare.
È questo l’augurio – o, meglio, l’auspicio – che l’Arcivescovo rivolge alle consacrate riunite in Duomo per la Celebrazione eucaristica nella quale la Chiesa ambrosiana festeggia e rende grazie per i Giubilei di professione religiosa e di vita consacrata. Anniversari significativi, 15°, 25°, 50°, 60°, 70° e oltre.
«Ringrazio della presenza, per rendere grazie al Signore della vocazione che vi ha chiamati alla santità. Dove c’è una persona consacrata vi è, certo, un segno della gloria di Dio», sottolinea, in apertura, il vescovo Mario – cui sono accanto i vescovi, monsignor Paolo Martinelli, vicario episcopale di settore e monsignor Luigi Stucchi – dopo il saluto portato da suor Miranda Moltedo, Marcellina e dirigente scolastica.
«Cerchiamo un “nuovo” che è il principio carismatico da rendere attuale nel nostro oggi, esprimendo, nel servizio giornaliero, la forza e la dolcezza della contemplazione del Signore Gesù. Abbiamo bisogno – osserva – di un sogno condiviso che converta la globalizzazione – per cui il pianeta è ridotto a un mercato universale e a un diluvio di informazioni – in un sogno di fraternità universale. Se la gloria di Dio è l’amore che riempie la terra e ci rende capaci di amare, le nostre comunità sono poste dove chiunque può amare e dove la nostra testimonianza apostolica può aiutare il miglioramento e la cura della società».
L’omelia dell’Arcivescovo
Dalle «donne inquietanti che hanno una parola da dire che risulta incredibile ai discepoli», si avvia la riflessione. «Dicono, infatti, che Gesù è vivo secondo il messaggio di angeli. L’annuncio della verità che sta al fondamento della fede cristiana e della missione della Chiesa è affidato alle donne devote, mentre i discepoli continuano a ritenere che sia più ragionevole la tristezza che la gioia, la delusione invece che la speranza, la rassegnazione invece che l’esultanza».
Sono loro, quelle stesse donne «che ci hanno sconvolto perché sono rimaste vicino a Gesù, fino alla fine, fino alla croce, che sono state le ultime a lasciarlo e le prime a cercarlo. Che sconvolgono con una fedeltà che le porta al sepolcro di primo mattino «mentre i discepoli dormono, stanno inoperosi, spaventati e complessati dai sensi di colpa». Vanno per la loro pietà, per il loro amore che la morte non spegne, perché «intuiscono il mistero» con «uno sguardo più penetrante, una semplicità più disarmata e credono».
Chiaro il riferimento al dono totale di sé di religiose e consacrate «che hanno incontrato il Signore e sono state invase da una tale gioia che il dono della vita è sembrato loro una risposta adatta. Hanno dedicato la vita, tutti i giorni, tutte le ore, in tutte le comunità in cui sono state mandate con la naturalezza e semplicità di chi vive di un solo amore, un amore che basta. Per Gesù hanno messo da parte amor proprio e paure, hanno ritenuto di non stare troppo a pensare a sé».
Donne che hanno fatto la scelta di una libertà autentica, perché donata nella gioia. Così forse, allora si può rispondere alle domande, oggi fin troppo pubblicizzate, cui dà voce l’Arcivescovo. «Come è possibile essere liete in mezzo ai malati; mentre si vede avanzare la vecchiaia, si assottigliano i numeri dell’Istituto; mentre la scelta che ha dato pienezza alla propria vita non è apprezzata dalle ragazze di oggi e non risulta desiderabile?».
La risposta è la fedeltà, anche se non si riesce a convincere e smuovere i discepoli stanchi del Terzo millennio.
Da qui, la consegna: «Le consacrate che celebrano oggi i loro anniversari significativi di consacrazione, insieme con i consacrati, devono giustamente essere ringraziate e circondate di manifestazione di affetto e di ammirazione. Ma io mi permetto di chiedere che siano ancora donne che seminano stupore e sconcerto dicendo con la loro vita la verità della loro fede. Abbiamo bisogno di essere sconvolti, per scuoterci dalla rassegnazione e da quella specie di tristezza risentita e di delusione deprimente che paralizza. Siate quelle donne che ci hanno sconvolto, non per l’agitazione dell’attivismo, non per il puntiglio dei ruoli e dei riconoscimenti. Insomma, siate consacrate».