Redazione

Il tema del laicato rappresenta questione rilevante nei documenti del Vaticano II. La Costituzione dogmatica Lumen gentium vi ha dedicato il capitolo IV. Sviluppi della riflessione sull’argomento sono nella Costituzione pastorale Gaudium et spes e nel Decreto Apostolicam actuositatem. La Lumen gentium parla del laico come del “semplice” fedele, incorporato a Cristo con il battesimo, membro a pieno titolo del popolo di Dio e partecipe del triplice munus (sacerdotale, profetico, regale) del Signore Gesù. Caratteristica «propria e peculiare» di questa figura di credente è l’«indole secolare» (n. 31). Da qui il senso della vocazione/missione laicale: «Cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (ivi). Per la Lumen gentium, dunque, il laico risulta segnato in radice e a un titolo speciale proprio dalla «secolarità». Con questo termine il Concilio allude all’insieme delle «realtà temporali» (famiglia, lavoro, società, cultura, politica, tempo libero, ecc) che interessano abitualmente l’esistenza laicale, indicandole come “luogo” non soltanto “sociologico”, ma piuttosto “teologico” dell’itinerario del fedele verso la santità. Forse nessuno ha goduto nell’intimo quanto Giuseppe Lazzati dinanzi a simili affermazioni conciliari. Egli vi ravvisò subito la sintonia con le idee maturate nei due decenni precedenti dalla “teologia del laicato”, che ebbe in padre Congar uno degli esponenti più illustri. Lazzati aveva fatto proprie le linee di fondo di tale indirizzo, perché gli sembravano bene interpretare la specifica identità/vocazione laicale, consistente nella dedizione appassionata, responsabile e competente alle “cose” del mondo (i negotia saecularia) per “orientarle” secondo il disegno originario di Dio. Il Vaticano II, portando a pieno sviluppo le intuizioni di quella ricerca teologica, suggellava con la sua autorevolezza la tesi di un protagonismo laicale originalmente qualificato entro la missione della Chiesa nel e per il mondo. Lazzati fu esegeta attento della dottrina conciliare sui laici. Ma, forse ancor di più, brillò per l’impegno indefesso posto nel presentare gli insegnamenti magisteriali all’interno della comunità cristiana. Era convinto che, senza un’adeguata opera d’illustrazione e approfondimento, un “tesoro” di tale natura avrebbe ben presto rischiato l’oblio, con grave nocumento per la crescita dei fedeli laici. A motivo di ciò, sino alla fine della vita, egli fu costantemente disponibile, in ogni parte d’Italia, per incontri su questo tema, nella persuasione di poter così servire la causa che, da sempre, portava nel cuore: la maturità del laicato. La sua disponibilità si accendeva di entusiasmo speciale quando aveva come diretti interlocutori i giovani, futuro della Chiesa e del mondo. Secondo lui, una formazione cristiana della gioventù nutrita anche del magistero conciliare costituiva garanzia per l’edificazione di coscienze laicali solide, aperte, capaci di testimonianza seria, fuori da eccentricità e da propensioni integralistiche. Oltre che esegeta, Lazzati fu un vero e proprio “cantore” del Concilio, della sua ecclesiologia, delle linee di pastorale e di spiritualità laicale da esso tracciate. Egli aveva piena avvertenza del fatto che con il Vaticano II si erano aperte condizioni favorevoli per un’autentica “primavera” dello stesso laicato. Occorreva allora fare fruttificare le intuizioni conciliari, svolgendole e precisandole, se del caso, senza tuttavia snaturarle. Per questo salutò con particolare trasporto quegli interventi del magistero post-conciliare di chiara conferma degli indirizzi del capitolo IV della Lumen gentium. Fu il caso, per esempio, dell’Evangelii nuntiandi di Paolo VI (1975), il cui n. 70 recitava, fra l’altro: «compito primario e immediato» dei laici «è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nelle realtà del mondo». Alla luce di simili convincimenti, è evidente che Lazzati si trovasse a mal partito di fronte ad alcune prospettive ecclesiologiche fiorite fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, le quali sembravano intaccare l’impostazione (e le conquiste) conciliari in materia di laicato, rischiando di depotenziare il profilo “estroverso” del fedele laico, cioè il suo imprescindibile e prioritario rapporto/impegno verso le realtà del mondo. Con quella parresia che sempre lo contraddistinse, egli, sino all’ultimo, non esitò a denunciare tale pericolo, entrando in vivace, ancorché sempre rispettoso, confronto con alcuni amici teologi. Per una nuova maturità del laicato (1986) è il titolo dell’ultima fatica letteraria di Giuseppe Lazzati. Indicava il tema di una vita, ricca di molte diaconie, ma tutte convergenti intorno all’idea e alla preoccupazione di contribuire alla crescita dei fedeli laici. Anche in quel libretto Lazzati adombrava tre questioni/esigenze importanti per le comunità cristiane: la cura prioritaria della formazione di base e di quella permanente dei laici; la coltivazione di una comunicazione franca fra tutte le componenti del popolo di Dio; il riconoscimento della legittima autonomia delle scelte laicali nell’ambito temporale. Ognuno intende l’attualità e l’urgenza di tali problemi. La lezione di Lazzati ci offre indicazioni convincenti (di metodo innanzitutto, ma non solo) per affrontarli con spirito lungimirante.

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