Per Giorgio Sarto, responsabile dei servizi di prossimità Caritas del quartiere Forlanini, il “buon vicinato” proposto da Delpini può essere l'antidoto a molti atteggiamenti disgreganti

di Claudio URBANO

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Giorgio Sarto

«È un messaggio chiaro e semplice, diretto, senza possibilità di fraintendimenti». Giorgio Sarto, responsabile dei servizi di prossimità Caritas del quartiere Forlanini, accoglie così il primo Discorso alla Città di monsignor Delpini, che ha scelto di sottolineare come la qualità della vita nella metropoli si costruisca a partire dall’attenzione ai rapporti interpersonali.

È proprio questa premura, questa vicinanza all’altro, più che dei servizi, ciò di cui c’è più bisogno secondo Sarto, che parla di una società che produce «servizi freddi». Diverso è invece «condividere le difficoltà del cittadino, condividere un percorso per cercare di superare insieme le difficoltà». Un compito che, nota Sarto, «spetta innanzitutto ai cristiani». È la stessa condivisione che il vescovo ha voluto subito elogiare nelle istituzioni, ricordando quei rappresentanti «dediti alla prossimità». Non un banale ossequio, osserva Sarto, perché «il vescovo non dice “siamo tutti bravi”, ma incoraggia chi si pone in un certo modo, chi si fa carico della promozione del bene comune».

Fin dall’inizio del suo mandato monsignor Delpini ha invitato a non lamentarsi, e anche in questa occasione l’accento è sugli atteggiamenti positivi. Sarto raccoglie l’invito, sottolineando che proprio il “buon vicinato” proposto dal vescovo può essere l’antidoto a molti atteggiamenti disgreganti. «Se manca quest’attenzione nel vissuto di ciascuno sorgono tutte le forme di “ismi”», avverte il responsabile Caritas: «Non solo l’individualismo, ma anche il razzismo, l’antipatia verso il vicino di casa perché è di un’altra razza o religione, la voglia di classificare il buono e il cattivo». Si possono dunque tradurre le parole del Vescovo pensando alla città come a «cerchi concentrici di comunità più grandi a partire dal pianerottolo – indica Sarto -: la famiglia, il caseggiato, il quartiere, la città». Un’indicazione, questa, utile anche per fare un passo in più rispetto all’impegno e alle buone azioni personali, che «ci sono e sono silenziose, ma rischiano «di rimanere individuali, senza diventare il contenuto del vivere comunitario».

Ecco allora la necessità del sostegno delle istituzioni, che secondo Sarto «devono aiutare dando sì risposta ai bisogni, ma soprattutto servizi di comunità. Servizi, cioè, che non rispondano solamente al bisogno del singolo cittadino, ma che considerino il contesto, per esempio di disagio familiare, in cui questo è inserito».

Sarto pensa al contesto di quartiere popolare in cui opera come volontario, a partire dalle Case Bianche che hanno ricevuto la visita di papa Francesco. Un contesto, come quello di tanti quartieri (il vescovo ha scelto di fare pochi riferimenti alle periferie, «identificate spesso con le esigenze immediate dell’illuminazione delle strade o della sicurezza, mentre il quartiere è il luogo dove abitano le persone», nota Sarto), dove la scarsità di risorse e spesso la fragilità culturale portano innanzitutto a cercare di cavarsela da soli, mentre chi non ce la fa rischia di non avere neanche la solidarietà dei vicini. «A maggior ragione qui è necessario un lavoro di buon vicinato, in un percorso che può tradursi anche in una crescita delle singole persone, senza il quale tutto il discorso della coesione sociale non regge», osserva il volontario Caritas.

L’attenzione agli altri, come la pratica della decima rilanciata dal vescovo, «può dunque diventare un fatto culturale», sottolinea Sarto. Non si tratta infatti di fare un’offerta ogni tanto, né, come ha ricordato il vescovo, significa soltanto dare soldi, quanto un’attenzione costante a mettere a disposizione dell’altro parte di ciò di cui si dispone. «È uno sprone rivolto soprattutto a noi cristiani – avverte Sarto – anche perché spesso ci basta un nulla per dimenticarci come ci dovremmo comportare».

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