Il tema al centro dell’ultima “Telefonata” a Radio Marconi: «Come cristiani siamo richiesti di pensare all’Europa, di apprezzare i risultati ottenuti e di ritenere promettente il futuro»
«Non solo siamo autorizzati a pensare, ma credo che almeno come cristiani siamo impegnati, invitati, richiesti di pensare all’Europa». Lo ha sottolineato monsignor Mario Delpini nel corso della Telefonata con l’Arcivescovo realizzata da Fabio Brenna, in onda in questi giorni su Radio Marconi. Ne pubblichiamo il testo.
Riprendendo la sua “provocazione” del Discorso alla città, le chiediamo se siamo autorizzati a pensare all’Europa…
Certamente. Occorre sentire il fascino di questo cammino di comunità europea e avvertire la forza del cammino compiuto, non soltanto criticando gli aspetti problematici, ma apprezzando i risultati in condizioni di pace e di collaborazione che si sono stabiliti tra i Paesi membri.
Possiamo allora dire che la Chiesa e quindi anche i cristiani sono europeisti?
La lettura di questo cammino della comunità europea dice che all’origine c’erano tre personaggi – Schuman, Adenauer e De Gasperi -, che professavano e vivevano la loro appartenenza alla Chiesa cattolica come un elemento determinante anche nel loro sguardo politico. Quindi all’origine della comunità europea stanno tutti i popoli d’Europa che hanno aderito, però questi tre personaggi cattolici dicono certamente di una impostazione. Perciò i cattolici e la Chiesa cattolica di oggi ritengono doveroso e anche promettente il cammino della comunità europea.
Se siamo autorizzati a pensare a un’Europa come casa comune occorrerà ritrovarci intorno a valori fondanti. Quali possono essere?
Penso che i valori fondamentali su cui gli europei possono ritrovarsi sono in primo luogo la centralità della persona, il valore di ciascuno come persona a prescindere dalle condizioni economiche e dalle disponibilità finanziarie, dal livello culturale, dal Paese di provenienza. Ogni persona è un soggetto di dignità e di libertà: questo è stato sviluppato dentro il percorso antico dell’Europa dal diritto romano, dal cristianesimo, da tanti altri contributi. Dunque, è un tema certamente comune. E poi la pace: l’Europa si è avviata a diventare comunità dopo il disastro delle due guerre mondiali, dopo aver sperimentato come i sentieri di guerra portano in abissi terribili. Quindi la condivisione dei problemi economici e sociali può essere un cammino di pace che porta al futuro. In questi due aspetti, persona e pace, i percorsi sono quelli della solidarietà: sentirsi impegnati a condividere perché non ci sia chi è talmente imprigionato nella sua povertà da sentirsi almeno autorizzato alla ribellione e alla violenza nei confronti di persone che godono privilegi e condizioni favorevoli.
I giovani di oggi aspirano a girare l’Europa, a fare l’Erasmus. Dovremmo farci contagiare da questo entusiasmo giovanile per riscoprire la necessità dell’Europa?
I giovani sono una speranza proprio per questo cammino promettente. Non so se sono proprio entusiasti. L’entusiasmo dei giovani credo sia un aspetto un po’ raro a causa degli adulti. Ho l’impressione che i giovani siano più inclini allo scoraggiamento che all’entusiasmo, però hanno esperienza di viaggi in Europa, di vantaggi che essa offre, di quella libertà di pensiero, di movimento, di pratica religiosa, di idee che appunto l’Europa ha reso possibile. Forse anche i giovani hanno bisogno di essere incoraggiati a una visione realistica del cammino europeo, perché non basta l’entusiasmo di un momento e qualche manifestazione festosa. È necessario guardare al futuro come a una responsabilità da assumere anche da parte dei giovani, non solo come richiesta di beni di cui godere.