Visita alla Cava Madre di Candoglia, da cui viene estratto il marmo per la Cattedrale, e Messa nella festa della Madonna della Neve: «Siamo tutti peccatori, ma se andiamo nel profondo troviamo il bene»
di Annamaria
Braccini
Zona nota sin dall’epoca romana per la presenza di marmi pregiati, e dal 1387 scelta – per volontà di Gian Galeazzo Visconti, fondatore della Fabbrica del Duomo – per l’estrazione del famoso marmo necessario alla costruzione della Cattedrale di Milano. Sono le cave di Candoglia, situate nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola, e più precisamente nel Comune di Mergozzo, affacciato sul lago omonimo nel contesto di uno spettacolare paesaggio tra le alte vette della Val d’Ossola. Se nei tempi antichi, con ogni probabilità, vennero sfruttati solo giacimenti a fondo valle, attraverso i secoli le continue necessità poste dall’edificazione della Cattedrale portarono a risalire il pendio montano, fino ad arrivare a quota 570 mt verso la fine del Settecento, quando fu aperta la Cava Madre, utilizzata soprattutto per la facciata del Duomo. È qui che, in una giornata autunnale splendente di sole, arriva l’Arcivescovo di Milano per visitare il sito di estrazione e presiedere la celebrazione eucaristica nella festa della Madonna della Neve, alla quale tradizionalmente prendono parte i lavoratori della Fabbrica.
La visita
Accolto dal presidente della Veneranda Fabbrica Fedele Confalonieri, dall’Arciprete monsignor Gianantonio Borgonovo, dal direttore dei Cantieri della Fabbrica Francesco Canali, dal responsabile della Cava Marco Scolari e da alcune maestranze, l’Arcivescovo è così entrato all’interno della grande Cava Madre, percorrendo passerelle in ferro, scale, passaggi e lastroni su cui intravvedere – tra rivoli di acqua, sabbia, materiale grezzo -, una vena chiara, un accenno di colore rosa, una sfumatura più scura: insomma, l’emozione del marmo del Duomo. Il tutto con la sensazione – condivisa – di trovarsi immersi in un panorama splendido, vicino a immense pareti di marmo, ma anche a un cuore pulsante, quello della Cava Madre, l’unica a oggi attiva con un’estrazione media di 300 mc l’anno, stabilizzata attraverso attente opere di consolidamento, continuamente controllata da remoto e caratterizzata dalla coltivazione in galleria con l’ingresso situato a 563 mt di altezza: 14 i dipendenti, tra cavatori, addetti alla segheria, manutentori e anche tre ornatisti, impegnati in un laboratorio ai piedi della Cava. Tre le varietà di marmo utilizzate per l’edificazione del Duomo: rosa (la più pregiata per via del colore, della compattezza e della resistenza), bianca (usata soprattutto nella statuaria) e grigia (più abbondante e più adatta per le strutture portanti).
Il pensiero dell’Arcivescovo – che osserva anche la grande targa marmorea posta a ricordo delle due visite dell’arcivescovo Montini (un’altra, poco lontano, più consunta dal tempo, fa memoria del cardinale Schuster) – non può che essere di meraviglia e riconoscenza: «Un momento di ringraziamento per tutto ciò che Dio ci ha donato e per il lavoro di tante persone che rendono il Duomo un monumento non del passato», sottolinea in apertura della Messa presieduta nella chiesetta dell’Annunciazione di Maria Vergine, nella vicina frazione di Albo. Concelebrano il parroco don Adriano Miazza, monsignor Borgonovo e il portavoce dell’Arcivescovo, don Walter Magni.
L’omelia
In riferimento al Vangelo di Luca nel capitolo 21, l’Arcivescovo dice: «Mi pare che possiamo individuare tre paure alle quali Gesù ci invita a non cedere. La prima è quella mascherata dall’ipocrisia, quando si mostra qualcosa che non è dentro il cuore per nascondere quello che c’è davvero o che abbiamo fatto. La paura che siano scoperti da altri i pensieri volgari, gli atteggiamenti risentiti, i rancori che ancora rodono dentro». Quale, allora, il rimedio? «C’è il rimedio che può suggerire la cava: quello scavare in profondità trovando cose preziose. Siamo tutti peccatori, ma se andiamo nel profondo, troviamo il bene, perché siamo molto meglio di quello che pensiamo. Siamo come la montagna che nasconde il marmo pregiato per costruire la Cattedrale, qualcosa di prezioso che rende bella la Chiesa. Bisogna cercare la profondità nell’interiorità ed essere davanti a Dio con sincerità».
Poi, la paura «di ciò che gli altri possono farci, del volere male, dell’abbandonarci, non sempre o soltanto con la persecuzione violenta che uccide il corpo, ma con ciò che ferisce e mortifica. La parola di Gesù che non ci abbandona mai ci dice che la ragione per cui siamo importanti e valiamo è l’anima, il rapporto con Dio. Non siamo autorizzati a perdere la stima di noi stessi perché siamo preziosi per Dio».
Infine, la paura per quello che può succedere. Anche qui esiste un rimedio certo: «Avere fiducia della provvidenza di Dio che non si dimentica di noi, per cui ogni situazione può diventare occasione. Chiediamo a Maria la fede semplice e profonda che ci aiuta a vincere le nostre paure. La paura che noi siamo sbagliati, riconoscendo invece che in noi vi è l’immagine di Dio che supera i nostri limiti e peccati; la paura degli altri che vinciamo quando ci attacchiamo al Signore; la paura di ciò che può succedere, affidandoci alla Provvidenza di Dio».