Nel Decanato San Siro Sempione Vercellina la celebrazione diocesana, con la Messa e la processione eucaristica: «Convertiamoci, ringraziamo e facciamo festa per il dono che Dio ci ha fatto»

Corpus Domini 2022

di Annamaria Braccini

Il canto dei 12 Kyrie peculiari della liturgia ambrosiana, più di 60 sacerdoti concelebranti, tra cui quattro vescovi, i membri del Cem e i Canonici del Capitolo metropolitano, i ministri straordinari dell’Eucaristia, i gruppi liturgici parrocchiali (specificamente invitati), le massime istituzioni territoriali – Comune di Milano, Regione e Città Metropolitana, rispettivamente rappresentate, con gli storici gonfaloni, dagli assessori Marco Granelli, Stefano Bolognini e Beatrice Uguccioni -, la chiesa gremita. E, ancora, le associazioni, i volontari, i membri delle Confraternite e degli Ordini cavallereschi, gli stendardi – tra cui quello dell’Università Cattolica con il prorettore vicario, Antonella Sciarrone Alibrandi -, le autorità militari, le tante religiose, i ministranti e i chierichetti in gran numero.

Tutto parla di una celebrazione corale per la solennità del Corpus Domini che mai come quest’anno, dopo due anni di pausa per la pandemia, torna a Milano, in una delle zone più problematiche della città – il Decanato San Siro, Sempione Vercellina -, con la Messa e la processione presiedute dall’Arcivescovo. Un itinerario di fede dal titolo «Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale» (tema anche del Congresso eucaristico nazionale in programma a Matera dal 22 al 25 settembre), che si avvia dalla chiesa della Beata Vergine Addolorata in San Siro, «attraversando i luoghi dove la gente vive, lavora, gioisce, soffre e muore». Camminando «pellegrini sulle strade della nostra città, simbolo delle strade del mondo», per portare «le sofferenze degli ammalati, la solitudine degli anziani, la fatica di chi è stanco e affaticato per la pandemia, per le guerre e ogni forma di violenza».  

La Messa e la processione

Il saluto di benvenuto è porto dal parroco don Giovanni Castiglioni che, rivolgendosi all’Arcivescovo in riferimento alla recente Visita pastorale al Decanato, dice all’intera assemblea: «Sentitevi tutti a casa, perché questa parrocchia è la casa del Signore».

Al termine della Messa inizia la processione che, tra canti, riflessioni, preghiera e intercessioni, ascolto della Parola di Dio e di alcuni brani dell’enciclica di papa Francesco Laudato si’, si articola in quattro momenti, a sottolineare il significato del pane «frutto della terra e del nostro lavoro», «cibo della condivisione»; «questo pane è il mio corpo che è per voi», «il pane vivo disceso dal cielo». 

I fedeli, seguendo il Santissimo Sacramento portato tra le mani dall’Arcivescovo nel prezioso ostensorio ambrosiano, sostano e pregano tra i balconi dei grandi condomini, illuminati da piccole fiammelle nella sera che scende, passando accanto a luoghi di cura, scuole, alle imponenti geometrie dello stadio di San Siro, a quelle raccolte e sobrie del Santuario dedicato a don Gnocchi e arrivando, infine, sul sagrato della chiesa di San Giuseppe Calasanzio.

L’omelia  

Al pane eucaristico e a quello quotidiano che saziano, mentre «la sazietà dei capricci fa perdere il gusto dell’essenziale», si ispira la riflessione dell’Arcivescovo (qui il testo integrale): «I discepoli, noi tutti, camminano ogni giorno in città e testimoniano il gusto per la vita, la gioia di essere vivi. Attraversiamo anche la città difficile e non siamo ingenui. Vediamo le complicazioni e il degrado. Avvertiamo il pericolo, il malumore, la rabbia e la cattiveria, ma non troviamo mai una ragione per provare disgusto della vita, della città e dei suoi abitanti».

L’invito è a gustare la vita e i suoi tanti momenti e stagioni: «Essere giovani e gustare la giovinezza. Essere adulti e gustare la responsabilità. Essere genitori e gustare di donare vita e futuro. Essere anziani e vecchi e gustare di essere nonni. Essere uomini e donne e gustare di essere persone che si piacciono, che esprimono il gusto di vivere, di essere famiglia e accogliere e custodire la vita. Essere amici e gustare l’amicizia feconda di bene. Dare un aiuto a chi ha bisogno e gustare la gioia e il pane condiviso. Rispettare le regole del convivere e gustare la vita ordinata e il buon vicinato».

Questo contenuto non è disponibile per via delle tue sui cookie

Anche quando, non si nasconde l’Arcivescovo, vivere non è semplice: «Nella città difficile, nella vita complicata, nei tempi del grigiore e della paura, i discepoli fanno memoria di Gesù, come lui spezzano il pane e sperimentano che il pane è buono, il pane è abbondante. Eppure il pane non basta. Siamo forse destinati a non essere mai felici? Forse un dio invidioso ha destinato uomini e donne a essere sempre insoddisfatti, sempre dipendenti, sempre segnati dal bisogno? Perché il pane non basta? Perché il gusto della vita può degenerare in disgusto e desiderio di morte e rassegnazione a morire?», si chiede monsignor Delpini.

Eppure Gesù, che si cura della folla affamata nel deserto, rivela l’intenzione di Dio che ha «la bellezza e la delicatezza del dono per cui tutto diventa segno, un aprirsi delle cose verso il mistero. Nella cura per ogni dono ricevuto, i suoi figli siano fieri e lieti di essere vivi, di essere capaci di coltivare la terra e di trarne il pane e il vino, a immagine del Creatore, capaci, cioè, di creare». E anche quando «Dio vide che le cose buone invece che dono erano diventate proprietà privata conquistata con la violenza, e i doni diventavano oggetto di contesa, di rapina, di violenza, ha continuato a donarsi».

Per questo – conclude l’Arcivescovo – il XXVII Congresso eucaristico nazionale di Matera vuole essere «anche un rimprovero e un invito a conversione per tutto quanto abbiamo sbagliato e per come il dono di Dio è stato frainteso e ignorato. Ma soprattutto vuole essere un invito a fare festa e ringraziare. Il pane è buono, e Gesù nel pane consacrato non offre solo il gusto che piace e sazia il corpo, ma il dono che porta a compimento. Questa vocazione alla felicità che inquieta le persone e la città, il dono di sé che rende possibile partecipare alla sua vita, la vita del Figlio che spezza il pane e rende grazie e nel pane e nel vino si offre per la comunione con la vita di Dio, la vita eterna».

Ormai è buio quando si compie il quinto momento del rito, con la preghiera universale in cui torna un pensiero alla guerra, l’Adorazione dell’Eucaristia, il tradizionale canto del Tantum ergo e la benedizione solenne.

Ti potrebbero interessare anche: