La Messa celebrata nella chiesa di San Giuseppe nel corso del pellegrinaggio Ismi: «L'autorità va esercitata vigilando perché tutto serva al bene della comunità»

Cairo 25 febbraio

Nella prima giornata del pellegrinaggio Ismi in corso in Egitto, l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, ha presieduto una celebrazione eucaristica nella chiesa di San Giuseppe al Cairo.

Nell’omelia (in allegato) ha fatto riferimento al «potere dei preti» nella sue diverse sfaccettature: quello «conferito» («di consacrare, assolvere, predicare, di responsabilità di guidare una comunità o più comunità»), quello «acquisito» («con tanti aspetti positivi di essere significativo per la comunità e anche qualche rischio di farla un po’ da padrone»), quello «preteso» («rivendicazione di un’autorità che magari la debolezza del pensiero o del carattere non riesce ad acquisire») e quello «contestato» («quando si propone qualcosa di impopolare, oppure si introducono cambiamenti in una comunità abituata a certe cose»).

«È indubbio che il prete deve esercitare un’autorità, un potere – ha affermato l’Arcivescovo -. Però mi pare che dobbiamo vigilare perché tutto serva al bene della comunità». Ed ecco allora «cinque precetti per un buon esercizio del potere».

Il primo: «Non tutto il ministero è potere… Siamo sempre discepoli, siamo sempre testimoni, siamo sempre incaricati di pregare per il popolo santo di Dio. Questi non sono poteri da esercitare, sono però dimensioni irrinunciabili del ministero che siamo chiamati a svolgere».

Il secondo: «Non ci sarà mai un buon esercizio del potere senza una sapienza ricevuta dall’alto». Quindi è necessario «ritenersi non persone che hanno già capito tutto e che hanno soltanto cose da far applicare», ma porsi «sempre in cerca della sapienza, di una idea più comprensiva della vita cristiana, di una vita più articolata, di un esercizio delle responsabilità più comunitarie».

Il terzo: «Siamo chiamati a vivere il ministero praticando lo stile di Gesù». Questo è il criterio «per servire la comunità esercitando le responsabilità che non vogliamo assolutamente lasciar perdere».

Il quarto: «Per un buon esercizio del potere è necessario liberarsi dall’amor proprio». Una libertà interiore che comprende «che la responsabilità è una croce pesante», da esercitare «non per la mia gratificazione, ma per l’edificazione della comunità».

Il quinto e ultimo: «Quando si esercita il potere in modo sbagliato o scorretto si danneggia la comunità e si finisce per coprirci di ridicolo». «Il prete che esercita male la sua responsabilità è ridicolo – ha puntualizzato -. Quindi cerchiamo almeno di non farci compatire».

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