Gratitudine, invito all’unità e richiamo alla formazione nella riflessione svolta durante la celebrazione nel Santuario di San Pietro dedicata ai sacerdoti immessi nell’ufficio o destinati a nuove comunità

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La benedizione al termine della celebrazione a Seveso

di Annamaria BRACCINI

Anzitutto un grazie sentito, ma anche l’invito a vivere l’unità del clero e a continuare sempre nella formazione per saper affrontare le sfide del presente. Sono le consegne che l’Arcivescovo lascia ai molti sacerdoti riuniti presso il Centro pastorale ambrosiano di Seveso durante la celebrazione di preghiera e di benedizione per tutti coloro che hanno ricevuto una nuova destinazione pastorale e l’immissione nell’ufficio di parroci.

Momento conclusivo dell’iniziativa di riflessione e di Esercizi spirituali «Tempo in disparte», la celebrazione si svolge, come tradizione, nel Santuario di San Pietro Martire, in cui trovano posto anche alcuni appartenenti alle diaconie delle parrocchie e Comunità pastorali interessate dai cambiamenti. Accanto all’Arcivescovo, in altare maggiore, siedono il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, alcuni Vicari di Zona e il Vicario episcopale per la Formazione permanente del Clero, monsignor Ivano Valagussa.

Dopo la lettura dei nomi dei 47 presbiteri che assumono nuovi incarichi, la riflessione dell’Arcivescovo si annoda appunto intorno alle tre parole rivolte ai presenti, a partire dal suo ringraziamento personale.

L’Arcivescovo durante l’omelia

L’omelia

«Grazie, perché avete accolto la destinazione, per la testimonianza di fede e di amore per la Chiesa, per la disponibilità al confronto, quando alcune destinazioni sono state oggetto di riflessione con i Vicari episcopali. Grazie è una parola che vuole comprendere anche l’ammirazione per ciò che avete fatto nelle comunità dove siete stati e in quelle di cui vi prenderete un carico, in alcune situazioni, particolarmente impegnativo. Un grazie che dice stima e ammirazione, con la sensazione di dipendere da voi e dalla vostra collaborazione».

Poi, la seconda parola, l’unità, perché «ciò che fa la missione della Chiesa nel territorio è la comunione e il fatto di far parte di un clero che condivide il peso della missione e il servizio al popolo di Dio. Sentirsi un Clero unito è condizione per essere incisivi in una storia che si prolunga nel tempo. Più la ricchezza dei carismi personali diventa una sorta di protagonismo e meno frutto può dare».

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Da qui un monito preciso. «Abbiamo tutti i nostri difetti e le nostre risorse, ma saremo incisivi se ci vedranno volerci bene, uniti e concordi sulle priorità fondamentali perché lo Spirito Santo possa operare in questo tempo così disgregato, pieno di polemiche e di contrapposizioni. Noi possiamo dare un messaggio di speranza se cammineremo insieme. Il presbiterio è il luogo dove troviamo quel senso di appartenenza che diventa collaborazione, possibilità di aiutarci, di prenderci cura gli uni degli altri, anche dei preti anziani o malati».

Terzo richiamo, la formazione, «perché nessuno di noi ha ricette preconfezionate e l’esperienza che abbiamo fatto non ci esonera dal confronto, dall’ascoltare esperti per vedere come illuminino questo o quel problema». Il riferimento dell’Arcivescovo è alla lettura di testi, ma anche alle tante iniziative promosse dalla Formazione permanente del Clero: «Dobbiamo imparare, studiare, sapere che la responsabilità che abbiamo è grave», perché si può rischiare di dire parole e cose che paiono giuste, ma che creano confusione, specie in questi tempi complicati. «Tutte le categorie di persone si formano, quale che sia il lavoro svolto, a tutti è chiesto di aggiornarsi e anche noi dobbiamo avere consapevolezza di non sapere ogni cosa, di non essere capaci di fare tutto. Cerchiamo di essere persone serie che cercano di imparare per esercitare al meglio le nostre responsabilità».

Il giuramento di fedeltà

Poi la Professione di fede, il giuramento di fedeltà nell’assumere il nuovo Ufficio a nome della Chiesa, con i parroci e i responsabili di Comunità pastorali che salgono, a uno a uno, in altare per porre le proprie mani sul Vangelo e la lettura, da parte dell’Ordinario, del Decreto di Immissione in possesso, a norma del canone 527. Infine, la preghiera universale, la recita corale del Padre Nostro, la benedizione di tutti i presbiteri che hanno ricevuto la nuova destinazione e il canto della Salve Regina concludono il Rito.

«Contate su di me in tutte le problematiche che potrete incontrare», dice ancora monsignor Delpini, che dona ai sacerdoti il volume di don Ennio Apeciti dedicato a don Mario Ciceri, Il bene fa poco rumore.

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