Nella celebrazione presieduta nel Santuario di San Pietro, questa la raccomandazione rivolta ai 41 pastori che hanno ricevuto una nuova destinazione
di Annamaria
BRACCINI
Un benvenuto sentito alla cinquantina di sacerdoti riuniti nel Santuario di Seveso, «per accogliere le nuove destinazioni, testimoniando il senso di appartenenza a questa Chiesa». È quello che l’Arcivescovo – alla presenza del Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, dei Vicari di Zona e del Vicario per la Formazione permanente del Clero, monsignor Ivano Valagussa – rivolge a tutti i presbiteri che prendono parte alla celebrazione di preghiera per l’inizio del loro nuovo incarico: 41 tra parroci e responsabili di Comunità pastorali.
Un rito che si svolge in Santuario, come momento conclusivo dell’iniziativa «Tempo in disparte» promossa dalla Formazione permanente del Clero: una settimana di Esercizi spirituali e una formativa, svoltasi dal 23 agosto nel contiguo Centro pastorale ambrosiano di Seveso.
Dal Vangelo di Giovanni, al capitolo 10, tradizionalmente proclamato in queste occasioni, si avvia la riflessione dell’Arcivescovo: «Uno solo è il Buon pastore e noi possiamo esserlo perché siamo uno con Gesù. Questo senso di unità del Presbiterio per l’unità della missione è il servizio al popolo di Dio; è un evento irrinunciabile che ci deve plasmare nel nostro modo di pensare e di agire. Non siamo noi i padroni di un pezzetto di Chiesa che ci è affidato».
Uno stile – questo – che sta molto a cuore all’Arcivescovo, come lui stesso raccomanda. Il pensiero va ai futuri sacerdoti che ordinerà domani mattina in Duomo: «I Candidati hanno scelto il motto “Perché il mondo creda”, ma la frase completa è “Che siano una cosa sola perché il mondo creda”. Perciò vorrei raccomandare l’unità: anche tra confratelli nel decanato, nella diaconia, nella parrocchia, come anche l’unità che deve unire il predecessore con il successore in un incarico, perché il cambiamento non è una cesura, ma una continuità di servizio». L’invito è a passare le consegne in modo attento.«Anche questo fa parte dell’unità».
La I Lettera di Pietro, letta in questi giorni e proposta nel commento dall’Arcivescovo a chi ha partecipato a «Tempo in disparte», è particolarmente «prezioso», in questo senso, con quella che lui definisce «la spiritualità degli avverbi»: «Non si tratta solo di fare correttamente le cose che vanno fatte, secondo le indicazioni fornite e la normativa vigente, ma la spiritualità degli avverbi significa uno stile».
Quattro gli avverbi proposti, quindi. «Il primo è “sinceramente”, che significa amarsi con franchezza e trasparenza, comunicando quello che si ha nel cuore. Poi, “intensamente”. L’amore che ci unisce non è una specie di galateo delle buone maniere, ma vuole dire avere a cuore il bene dell’altro in modo intenso».
Il terzo è «avidamente»: «Un sentire che abbiamo bisogno con avidità di un latte spirituale, del dono dello Spirito a cui aspirare». E l’ultimo, «volentieri»: «Prestate il vostro servizio con gioia, con desiderio, non per forza, come costretti».
Una passaggio, quest’ultimo, difficile, «un po’ ostico», ammette l’Arcivescovo, se «magari qualcuno vive un trasferimento non previsto o va verso una destinazione, almeno a prima vista, non attraente o così promettente per le proprie aspettative. C’è una santità in questo “volentieri”. Cioè il poter dire: questo posso fare per dare nutrimento alla mia vocazione, per seminare gioia e speranza nel popolo di Dio».
Infine, la Professione di fede, il giuramento di fedeltà per i parroci o responsabili di CP – ponendo le mani sul Libro dei Vangeli – nell’assumere il nuovo ufficio da esercitare a nome della Chiesa e la lettura, da parte dell’Ordinario, del Decreto di Immissione in possesso, a norma del canone 527. La preghiera universale, la benedizione e il canto della Salve Regina concludono la celebrazione.