Incontro e dialogo con gli adulti che in tutta la Diocesi hanno completato il cammino per l'iniziazione cristiana: «Siate sempre uniti alle vostre comunità andando a Messa, e tenete in ordine la vostra vita»
di Annamaria
BRACCINI
«È sempre una grande emozione amministrare il battesimo, ma quando si tratta di persone adulte lo è ancora di più». Lo dice l’Arcivescovo alla sessantina di catecumeni partecipanti al tradizionale dialogo che si svolge al termine del cammino di preparazione: a una decina di loro sarà lui stesso a conferire i Sacramenti dell’iniziazione cristiana in Duomo, nella Veglia Pasquale.
Presso il Centro pastorale di via Sant’Antonio si articola l’incontro, dopo aver pregato insieme nell’omonima chiesa e riflettuto sul brano del Vangelo di Giovanni, 15 con le parole del Signore, «Rimanete in me e io in voi. Io sono la vite. Voi i tralci».
«Abbiamo toccato con mano la fantasia di Dio nel raggiungere i cuori dei nostri catecumeni – dice, nel suo saluto introduttivo, don Matteo dal Santo, responsabile del Servizio diocesano per la Catechesi e il Catecumenato -. La vostra sorpresa ci aiuta a pensare a cammini di fede che lascino spazio a questa creatività».
Alla presenza del Vicario episcopale di Settore, don Mario Antonelli, e di alcuni Vescovi ausiliari si articolano le domande e le risposte dell’Arcivescovo a questo spaccato di Chiesa dalle genti, formato da tante età, tradizioni e origini diverse: 47 donne e 18 maschi, provenienti da Italia (25), Albania (7), Nigeria (5), Perù (3), Egitto, Costa d’Avorio e altri Paesi.
Il dialogo con l’Arcivescovo
Inizia Elettra Adelaide, portavoce della Zona pastorale II (Varese) che chiede «come amare per sempre». «A questa domanda – spiega l’Arcivescovo – si risponde con tutta la vita, come apprendisti, non una volta per tutte. È importante la docilità, chiedendo ogni giorno al Signore di insegnarci ad amare. Bisogna avere attenzione agli altri e stima di sé, sapendo che siamo capaci di amare in forza dell’azione dello Spirito santo».
Claudia, Zona IV (Rho), fa una domanda personale all’Arcivescovo: «Come ha scoperto la fede e come la vive nella difficoltà della vita?». «Per me è stato facile, sono nato in una famiglia bella e unita, ho iniziato ad andare in chiesa da bambino come una cosa naturale; poi, la fede da adolescente è stata sostenuta da qualche momento intenso di preghiera; sono entrato in Seminario, ho vissuto la fede del prete che è sempre fede mendicante. La fede è una storia».
Darina, per la Zona VI-VII (Melegnano – Sesto San Giovanni), si interroga se il Vescovo abbia mai avuto dei dubbi e aggiunge: «Lo chiediamo perché vogliamo sapere come superarli nei momenti di difficoltà». «La verità evangelica è così limpida e luminosa che non ricordo di avere dubbi personali, ma certamente ho attraversato delle prove, delle morti, dei dolori. Soprattutto di fronte all’interpretazione del male, penso sempre che tutto ha un senso in Gesù. E allora, semmai, la domanda è come si combina questa certezza con le tragedie. La risposta è nel mio motto episcopale, con un’espressione tratta dal profeta Isaia: “La terra è piena della gloria di Dio”. Ho scelto questa frase perché provoca a interrogarmi su come sia possibile che la gloria di Dio riempia il mondo nella situazione di guerre, di gente che sperpera e gente che non ha niente o nella condizione di un ragazzo che muore. La gloria di Dio è l’amore che ci rende capaci di amare. Il male, il dolore innocente, l’ingiustizia sono occasioni per amare. Come posso far capire a persone che criticano i preti, la Chiesa, che si comportano male, che Gesù continua ad attirare sempre a sé?». Chiediamocelo, perché da questo si vede che siamo cristiani, suggerisce l’Arcivescovo.
Giulio, Zona I (Milano), osserva: «Come posso mantenere integro e vivo il mio rapporto con Gesù?». «La risposta è abbastanza semplice perché la Chiesa è un ritmo e ci fa vivere la vita cristiana non come un evento isolato o un momento particolarmente solenne. È la continuità del tempo a tenere vivo l’amore cristiano che non è un innamoramento, ma la dedizione fedele. Fatevi accompagnare dalla comunità perché la fedeltà è una grazia che viene dal partecipare insieme soprattutto alle celebrazioni. Tanti cristiani non vanno più a Messa – pare che sia importante andare al supermercato, alla partita, al lago -, ma questo isola e non permette quell’appartenenza che genera fedeltà. Stare bene con gli altri, perdonare, aiutare chi ha bisogno, permette di stare bene e di avere gioia, perché si riceve più di quello che si dà. Il modello è il rapporto che Gesù aveva con chi gli altri. La cattiveria, la solitudine, la vendetta ci rendono infelici. Ma perché esserlo?».
Quel metro quadrato da tenere in ordine
Alvin, Zona III (Lecco) e V (Monza), sottolinea: «Come valutare le sfide della guerra e la fame del mondo? Saranno perdonati i nostri peccati quando riceveremo il battesimo e come avere sempre più fede?». «Nel battesimo – conclude l’Arcivescovo – sono perdonati tutti i peccati e questo è particolarmente bello per un adulto che, magari, porta il peso dei proprie mancanze. Talvolta, la vita alla vostra età è già ferita dal male, ma il battesimo è la vita nuova. Come avere sempre più fede? Occorre impegnarsi, ma è opera di Gesù. La fede cresce grazie a lui. Ricordate che Gesù è un amico e che è bello incontrarlo».
Infine, la risposta forse più difficile: quella su come aggiustare il mondo, specie in questo presente di guerra e dolore. «Ho elaborato la teoria che ognuno di noi può occuparsi del suo metro quadrato. Il nostro contributo è quello proporzionato a ciò che ci è dato. Tenete in ordine la vostra vita, l’ambiente in cui vivete, il lavoro, andate a votare. Se noi facciamo funzionare l’Europa in modo un po’ diverso, forse potremmo fare meglio».
Poi, al termine, tutti in Duomo per la Veglia in Traditione Symboli, con tantissimi giovani per la consegna del Credo, il simbolo della fede.