Nel primo giorno in Francia dei 1300 fedeli ambrosiani monsignor Delpini ha presieduto la celebrazione di apertura nella Basilica di Santa Bernadette: «Basta con la rassegnazione e la mancanza di speranza»
dI Annamaria
BRACCINI
«Basta con un cristianesimo triste, depresso, lamentoso. Basta con le comunità cristiane scoraggiate, complessate, pessimiste, nostalgiche. Basta con la rassegnazione e la mancanza di speranza».
Nella Basilica di Santa Bernadette, tra i pellegrini ambrosiani riuniti per la prima celebrazione corale del pellegrinaggio a Lourdes, l’Arcivescovo dà voce alla composta serenità e gioia con cui si vive, dopo tre anni, il primo pellegrinaggio diocesano nella città della grotta. Un sentimento diffuso anche tra la cinquantina di malati non autosufficienti, accompagnati dai volontari di Unitalsi, Oftal, Cvs e Smom.
«Ci ha chiamati qui Maria»
Gli stendardi, i gonfaloni delle associazioni, i quattro vescovi – i monsignori Giuseppe Merisi, Erminio De Scalzi, l’assistente nazionale Unitalsi monsignor Luigi Bressan e quello regionale lombardo monsignor Roberto Busti -, i 50 sacerdoti concelebranti: tutto parla di un ritorno, pur nella consapevolezza della sofferenza dei mesi passati. Tanto che, aprendo la Messa, l’Arcivescovo dice: «Sentiamo che ci ha chiamati qui Maria, ci ha chiamati qui il desiderio di dire che stiamo uscendo dalla pandemia che ci ha isolati, qui per le persone malate; ci ha chiamati il desiderio di pregare per tutti quelli che lo hanno chiesto, ci ha chiamati il Signore che vuole rivolgerci la sua parola che libera e annuncia la gioia di essere figli dì Dio».
«C’è motivo per fare festa»
Parole che tornano nell’omelia in riferimento al Vangelo di Matteo al capitolo 9, nella festa liturgica di San Matteo evangelista: «Per molti motivi è contestata la festa nel nostro tempo e sembra inopportuna la festa in questo luogo. Le malattie, che straziano le carni e inquietano la vita, sono una obiezione alla festa. La pandemia, che ha umiliato l’umanità, ha costretto a sospendere tutte le feste. I mali che affliggono le famiglie, la Chiesa, la società sono motivo di desolazione e di tristezza. Non è fuori luogo la festa, oggi qui? Gesù, però, risponde alle obiezioni del suo tempo e ai motivi di desolazione di ogni tempo».
Una risposta che viene dalla sua stessa presenza, con cui «si inaugura il tempo della misericordia, è annunciata ai prigionieri la liberazione: liberati dai pregiudizi, liberati dal peccato, liberati da ogni male, liberati dalla disperazione. C’è proprio motivo per fare festa, non perché sono scomparsi i problemi e i dolori, ma perché è presente Gesù. La festa dei cristiani è una testimonianza di fede». Da qui, il messaggio per tutti: «Siamo peccatori, ma siamo stati perdonati; se i cristiani sono tristi, come capiranno gli uomini e le donne del nostro tempo che il Signore è in mezzo a noi?».
Il richiamo è secondo quella logica che l’Arcivescovo indica nella sua Proposta pastorale 2021-2022, per vivere una Chiesa unita, libera, lieta, proprio perché «l’uomo non è fatto per stare seduto, per essere vittima della situazione, mortificato nella banalità, imprigionato nell’inerzia». «In una generazione smarrita e rassegnata, noi possiamo annunciare la direzione del nostro cammino e il senso del nostro vivere. Non siamo migliori di nessuno, ma facciamo festa non per una convinzione solitaria, non per un discorso o un dovere. Ma perché siamo comunità, siamo Chiesa in preghiera e la presenza di Maria è motivo di consolazione e di fiducia, secondo il motto episcopale del cardinale Ferrari», nel cui nome, in occasione del centenario della morte, si svolge il pellegrinaggio dal titolo «Tu fortitudo mea», il motto del Beato Cardinale, arcivescovo di Milano dal 1894 al 1921.
«Che questi giorni siano festa, contestiamo la tristezza di un mondo smarrito e depresso, perché abbiamo motivi per fare festa, perché siamo stati chiamati dal Signore e siamo insieme dentro questa Chiesa di Dio», ha concluso l’Arcivescovo.