Nella festa di San Giovanni Bosco, al termine della Settimana dell’educazione, l'Arcivescovo ha presieduto la Messa degli oratori nel Duomo brianzolo. L'esortazione agli adolescenti: «Ciascuno ha dentro una straordinaria possibilità di bene e di gioia»
di Annamaria
Braccini
Cinquanta celebrazioni in contemporanea in altrettanti Decanati della Diocesi. Migliaia di adolescenti chiamati a vivere, idealmente insieme, questo momento di preghiera e di condivisione nella Messa degli oratori, volutamente declinata al singolare per sottolineare la comunione che l’Eucaristia è capace di generare. È la formula con cui quest’anno (anche per le restrizioni legate alla pandemia) si è scelto di festeggiare il termine della Settimana dell’educazione, nella memoria di San Giovanni Bosco (qui il racconto del suo ultimo viaggio a Milano) e nell’anno straordinario dedicato proprio agli adolescenti.
Una modalità diffusa per cui l’Arcivescovo presiede il Rito nello splendido Duomo di Monza, per il Decanato omonimo, nella Zona V. Messa concelebrata dal Vicario di settore don Mario Antonelli, dal Vicario di zona monsignor Luciano Angaroni, dal direttore della Fom don Stefano Guidi, dall’arciprete del Duomo monsignor Silvano Provasi e dai sacerdoti che sul territorio si occupano di giovani. A porgere il benvenuto è don Luca Magnani, responsabile della Pg del decanato e per la Zona V. Tra le autorità civili, presente l’assessore comunale ai Servizi scolastici Pier Franco Maffè.
L’esortazione di Paolo
Ai molti giovani presenti si rivolge direttamente l’Arcivescovo nella sua omelia, prendendo spunto dalla Lettera paolina ai Filippesi, al capitolo 4, appena proclamata: «L’esortazione di Paolo ci mortifica: sembra che presenti un ideale doveroso, ma irraggiungibile, quando dice di essere sempre lieti nel Signore, mentre noi adulti, ma anche voi giovani, siamo sempre scontenti, tristi, spesso arrabbiati. Continuiamo a lamentarci degli altri e del mondo e a essere insoddisfatti di noi stessi».
E prosegue: «Paolo dice: “La vostra amabilità sia nota a tutti” e noi abbiamo quasi sempre l’impressione di non essere amabili, di essere considerati antipatici o insignificanti. Ci accorgiamo di essere spigolosi, reattivi, aggressivi, fino a ferire, talvolta anche senza volerlo, le persone che hanno attenzione per noi. Paolo dice: “Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro sia oggetto dei vostri pensieri”. E, invece, i nostri pensieri spesso si rivolgono a ciò che è meschino, volgare, ingiusto. Spesso ci capita di viaggiare in pensieri, fantasie e siti di cui conviene vergognarsi e che pure attirano in modo che tanti non riescono a resistere».
Un’umanità sbagliata?
Da qui una domanda particolarmente insidiosa nell’adolescenza: «Siamo un’umanità al contrario, sbagliata?». La risposta è nel Signore, che è venuto «non per i giusti, ma per i peccatori, non per quelli sani, contenti di sé, ineccepibili, non per i devoti che frequentano il tempio e così si sentono a posto davanti a Dio, ma per i peccatori che si sentono in colpa, per i malati che si sentono emarginati come se la loro malattia fosse una maledizione di Dio, per i delinquenti crocifissi e pentiti». Una venuta, quella di Gesù – scandisce l’Arcivescovo – che non è però «una consolazione a buon mercato», ma un incontro, dalla «semplicità essenziale» che implica un preciso invito alla sequela per rimanere nel suo amore.
«Chi segue Gesù, chi diventa suo amico, percorre le stesse sue strade. Non sempre si capisce che cosa dica Gesù, ma l’essere suoi amici convince almeno ad ascoltare. Non sempre si capisce perché vada da certa gente, ma l’essere suoi amici convince a seguirlo anche nella casa dei peccatori e delle persone antipatiche. Non sempre è rassicurante stare con Gesù, quando lo contestano, quando cercano di lapidarlo, quando si scatenano polemiche violente con i capi del popolo, ma l’essere suoi amici convince a stare dalla sua parte, anche quando molti lo abbandonano. Chi lo segue visita, con il suo stesso atteggiamento mite e umile, forte e coraggioso, fedele alla verità e ricco di compassione, tutte le persone che incontra». Per questo si può uscire «dalla cerchia rassicurante della propria compagnia abituale per diventare amici che invitano altri».
L’insegnamento di don Bosco
È la strada che don Bosco percorse «con straordinaria intelligenza, intraprendenza, rivelando ai ragazzi di Torino e poi del mondo intero, a tutti quelli che si sentivano umanità sbagliata, antipatica, insignificante, arrabbiata che Gesù li chiama a essere amici». Per questo, conclude l’Arcivescovo, lo celebriamo e «viviamo i percorsi educativi, perché stando con il Signore impareremo ad amare e a essere amati, rendendoci conto che la vita è la vocazione a essere suoi amici».
Poi, un pensiero su alcuni fatti dolorosi che parlano di un’emergenza educativa e spirituale di fronte alla quale occorre, ognuno per il proprio ruolo, sentirsi responsabili: «Monza è stata segnata da tanti drammi che riguardano proprio ragazze e ragazzi della vostra età. Voi cosa farete? Vi piangerete addosso? Io vi propongo di ascoltare Gesù: seguitelo e porterete molto frutto per voi e per gli altri, per tutti coloro con cui condividete questa età. Ciascuno ha dentro una straordinaria possibilità di bene e di gioia».
Il 18 aprile l’incontro con il Papa
Alla fine c’è ancora tempo per un annuncio e per un auspicio: «In questo anno straordinario degli adolescenti, il Papa vi vuole incontrare. Siete tutti invitati. La ragione per cui ho scelto di essere qui in questo decanato è che a Monza – sottolinea l’Arcivescovo -, c’è una concentrazione straordinaria di scuole di ispirazione cristiana, un investimento sull’educazione che, forse, in percentuale, non vi è in nessuna altra parte della Diocesi. Voi, da questo, ricevete un mandato: quando andate a scuola, avete la responsabilità di dire ai vostri compagni che tutti abbiamo una vocazione bella, santa, gioiosa, perché non c’è nessuna ragazza, nessun ragazzo che siano sbagliati».