Alla vigilia del Sacro Cuore, Giornata della Santificazione sacerdotale, in Duomo l'Arcivescovo ha presieduto una Messa per preti, religiosi, consacrati e diaconi permanenti morti nell'ultimo anno

di Annamaria BRACCINI

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L'Arcivescovo all'inizio della celebrazione. Dietro di lui, a sinistra il segretario monsignor Claudio Fontana e a destra il diacono permanente Luigi Magni

Il ricordo che fa memoria grata di chi è tornato alla casa del Padre in questo ultimo anno. Alla vigilia della Festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, Giornata della Santificazione sacerdotale, l’Arcivescovo presiede in Duomo la celebrazione di suffragio per i presbiteri, i diaconi permanenti, le religiose, le consacrate e i consacrati morti dall’1 giugno 2021. Un modo per rendere omaggio a chi non c’è più, sottolineando «la vittoria sulla morte del Signore».

Presenti i fedeli delle comunità che hanno patito una perdita, le suore di diverse congregazioni, e concelebranti i membri del Consiglio episcopale milanese, i Canonici del Capitolo metropolitano e altri sacerdoti, dopo il canto dei 12 Kyrie la Messa si apre con la lettura, da parte del Moderator Curiae monsignor Bruno Marinoni, dei nomi dei defunti, tra cui 55 tra preti ambrosiani, religiosi e diaconi, per un totale di un centinaio di scomparsi, considerando anche religiose, consacrati e consacrate.

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L’omelia

Le letture – dal Libro del profeta Ezechiele 34, dalla Lettera paolina ai Romani e dal Vangelo di Luca al capitolo 15, che fanno tutte riferimento, seppure con accenti differenti, alla pecorella smarrita – ispirano l’omelia dell’Arcivescovo (leggi qui il testo integrale).

«Il popolo disperso non ritrova la strada dell’ovile, non riconosce più un principio di unità, non ci sono pastori solleciti e autorevoli che sanno radunare il gregge. È la critica e il lamento di Dio contro i pastori del popolo di Israele. La pecora del Vangelo è, invece, un’immagine del peccatore: il Padre misericordioso non dimentica nessuno e, anzi, la sua gioia è nel salvare tutti. La sua premura per i peccatori è uno scandalo per coloro che si ritengono giusti e che, perciò, presumono di essere privilegiati, di essere coloro che danno gioia a Dio – spiega -. Ma lo smarrimento irrimediabile per l’ottusa visione del mondo è quello della morte, la terra dei giorni nuvolosi e di caligine, la fine inevitabile di ogni vita precaria, di ogni gloriosa apparenza, di ogni stolta presunzione. La pecora si è perduta perché un nemico invincibile se ne è impadronito, l’ultimo nemico, la morte».

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Eppure Cristo è morto per noi, e quella che sembrava una sconfitta si è rivelata come «l’irrompere della sua gloria che scardina le porte degli inferi e salva la pecora perduta strappandola dalle tenebre e dall’ombra della morte». Questa la ragione, suggerisce monsignor Delpini, del ritrovarsi a fare memoria: «Nella celebrazione del Sacratissimo Cuore di Gesù noi ricordiamo i nostri confratelli e tutti i consacrati e le consacrate che sono morti in questo anno e celebriamo la grazia della comunione dei santi. La morte di un uomo che ha servito la comunità cristiana celebrando i santi misteri è l’occasione per esprimere la riconoscenza. Il tempo che passa, la preghiera di gratitudine, la commemorazione dei tratti della vita di un prete, di una sorella, di un consacrato o consacrata, consente talora di conoscere meglio le persone, di provare meraviglia per quanto hanno fatto e anche di ridimensionare difetti ed errori, apprezzando meglio proprio quella parola, quel gesto, quel silenzio, quella presenza fedele che hanno aiutato, edificato, incoraggiato, corretto». Quindi, non solo riconoscenza, ma una conoscenza più approfondita «che permette ancora di imparare da chi ci ha preceduto».

«La morte di un uomo, di una donna che hanno servito la comunità è occasione per esprimere riconoscenza per coloro che hanno reso possibile a molti di entrare nella comunione con Dio condividendo il pane, il vino, la vita della comunità. Così celebriamo l’amore rivelato nel Sacro Cuore e la festa dei fratelli e delle sorelle che sono stati salvati dalla morte di Gesù e sentiamo che si rivolge anche a noi l’invito: “Pecorella di Dio, non smarrirti nel tuo peccato, non lasciare che il pastore mediocre disperda il gregge, non pensare che la morte sia invincibile”».

A conclusione, dall’Arcivescovo, ancora un pensiero. «Le Comunità che hanno subito la separazione da un confratello, da una consorella – anche con morti giovani, premature – hanno bisogno di sentire che la benedizione di Dio le raggiunge, che la vita donata continua a dare frutto».

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