Redazione

La fedeltà a Cristo non chiede certo di negare la propria umanità, quindi l’essere donna non può essere considerato un ostacolo, come una certa teologia della vita consacrata voleva anni fa. In queste pagine, la ricerca esistenziale di una suora che ha cercato di capire cosa significa vivere la propria femminilità e insieme la propria vocazione nella Chiesa.

di suor Elsa Antoniazzi

Ancora oggi l’immaginario collettivo consegna la figura di una suora rigida, per la quale l’essere donna è quasi d’impaccio. Come sempre le assolutizzazioni diventano caricature, ma non nascono dal nulla. Effettivamente il discorso della teologia della vita consacrata, della predicazione, per le suore è stato centrato sugli ostacoli che la nostra umanità opponeva alla chiamata alla santità, con un grande sforzo a evidenziare le possibili occasioni di rischi.

Nell’entusiasmo degli inizi ingenuo e un po’ pieno di sé sono entrata consapevole di tutto questo – io stessa mi ero sentita dire da una suora che «Eva è sempre la tentatrice» (sic!) -, ma fiduciosa che non avrei accettato questa riduzione. Con gli anni per fortuna ho incontrato sorelle che manifestavano una bella femminilità, ancor più simpatica perché si esprimevano aggirando le abitudini mentali consegnate dalla tradizione. Nel frattempo ero formata da un discorso teologico e spirituale diverso, consapevole che la fedeltà a Cristo non chiede certo di negare la propria umanità. E tuttavia perché, benché fuori dal clima di sospetto, avvertivo comunque che il cammino era ancora da compiere?

Quel po’ di “femminismo” respirato prima di entrare mi suggeriva la ricerca di una maggiore riunificazione. Se essere donna non era più un ostacolo, non poteva neppure essere un elemento insignificante. Gli autori letti o ascoltati per nutrire la mia vita spirituale erano sempre uomini, che parlavano ovviamente da uomini: quello che era meno ovvio è che alla fine il loro percorso, le loro sottolineature fossero diventate l’unica strada da percorrere.

Da questa empasse sono uscita attraverso vie che la Provvidenza mi ha offerto. Il richiamo all’ascolto della Parola, alla lettura diretta del testo che il cardinale Martini ci ha consegnato. Studiare la Scrittura, ruminare la Parola obbliga e aiuta nel percorso di unificazione, perché la parola scende fino a dividere le ossa. Su questo versante molta gratitudine va alle bibliste che ho conosciuto grazie alla frequentazione del Gruppo Promozione Donna.

Nel frattempo gli studi di filosofia mi hanno fatto frequentare il femminismo laico. Letture difficili, che alcune volte veramente urtavano, ma dalle quali ho appreso il linguaggio per dire donna, in modo significativo. Lo stupore è stato comprendere che questo conoscere era un ri-conoscere. Prospettive che prima di tutto avevo intuito ascoltando il Vangelo.

Meditando sulla Parola e studiando ho vissuto un passaggio importante: mi sono trovata tra le mani la gioia di comprendere che il Vangelo mi consegnava la mia femminilità. In una vita caratterizzata dai tre voti mi offriva il criterio per essere sorella e madre delle altre sorelle e delle persone che incontravo, in modo libero e sereno, nella doverosa ascesi che il voto richiede. L’impegno di castità diventava anche luogo per vivere l’essere sposa della Chiesa.

Importante svolta fu certamente la pubblicazione della Mulieris Dignitatem: dava dignità ecclesiale alla ricerca esistenziale delle donne, perché apriva prospettive di riflessione e faceva uscire dal privato l’esigenza e l’impegno di vivere la propria fedeltà al Vangelo senza schizofrenie. Non è un caso se proprio in quegli anni – sempre sul filo dell’essere donna consacrata – ho avviato un percorso apostolico diverso da quello iniziale: ero infatti insegnante. Cominciai a pensare alla possibilità di aprire il nostro servizio apostolico anche a case di spiritualità: luoghi in cui le persone possono trovare spazio, occasioni di silenzio e ascolto della Parola, aiuto nel cammino spirituale. Molte parole della tradizione della mia congregazione consigliavano questa possibilità e personalmente vi intravedevo una via significativa per la vita consacrata femminile.

Prima un appartamento a Milano, nella zona di Città studi, poi per conto della diocesi sul lago di Tiberiade, in seguito a Cernusco sul Naviglio e ora da qualche mese nella diocesi di Bologna. In queste esperienze, sempre vissute in relazione con la comunità parrocchiale, ho raccolto questa sfida, e grazie all’Osservatorio per le relazioni uomo donna nella Chiesa ho potuto riflettervi con altri.

La Chiesa nasce dalla relazione di Dio con gli uomini e le donne credenti e fa nascere la relazione tra loro. Le icone ecclesiali del Concilio – non ultima quella di popolo di Dio – ci suggeriscono un procedere che continuamente interpella l’altro e si lascia interpellare dall’altro. La rigidità affatica in modo più o meno consapevole gli uomini, preti e non, e le donne, queste sì ben consapevoli. In gioco è la realtà della Chiesa che consegni agli uomini e alle donne, con diversi carismi, il linguaggio proprio per invocare come la sposa e lo Spirito: «Vieni Signore Gesù».

Ti potrebbero interessare anche: