L’inizio delle lezioni è occasione per rinnovare la consapevolezza che l’educazione dei più giovani riguarda la società nel suo insieme e chiama in causa la «Chiesa in uscita»

di don Fabio Landi
Responsabile del Servizio diocesano di Pastorale scolastica

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Ogni anno l’inizio della scuola interessa non solo i tanti bambini e ragazzi che la frequentano e neppure solo gli insegnanti che ci lavorano. La ripresa delle lezioni è uno spartiacque nel calendario sociale. È una ricorrenza che, più di altre, mantiene la forza del rito: scandisce il tempo e individua alcuni passaggi. Anche chi non ne è implicato a vario titolo, neppure come genitore o nonno di qualche alunno, percepisce che con la riapertura delle scuole si entra in un’altra stagione dell’anno, che ha i suoi ritmi, le sue logiche e le sue priorità.

È un bene che sia così. È come la traccia, inscritta nei corpi e nelle pratiche della vita più che nella consapevolezza delle menti, del fatto che l’educazione dei più giovani riguarda la società nel suo insieme e non solo chi per età o per vocazione è coinvolto in prima persona. Le forme concrete del nostro agire e i riflessi condizionati che plasmano il nostro immaginario spesso custodiscono anche ciò che dimentichiamo.

Essenziale all’identità dell’individuo

La scuola ha un ruolo di primaria importanza per l’intera comunità civile. Tramite la scuola le nuove generazioni ereditano il nostro patrimonio culturale e sono introdotte in quel complesso sistema di simboli e di relazioni che caratterizzano la vita del nostro Paese. Naturalmente la famiglia rimane il luogo privilegiato perché i figli maturino nella comprensione di sé e del mondo, ma la scuola fornisce quel contesto plurale e quegli strumenti di interpretazione critica della realtà che oggi più che mai risultano essenziali per la definizione della propria identità e per l’esercizio responsabile del proprio futuro di cittadino.

Stando così le cose, la scuola non fa un buon servizio ogni volta che indulge a considerarsi un mondo a parte, un po’ libresco e sostanzialmente autoreferenziale. Sull’altro versante, è però urgente riguadagnare una consapevolezza più avvertita e condivisa (anche a livello politico) dell’importanza che la scuola riveste per tutta la società.

Un cambio di mentalità

A maggior ragione mi pare che un vero e proprio cambio di mentalità sia necessario a livello ecclesiale. Fatto salvo il tradizionale impegno di pochi per le scuole cattoliche, le comunità cristiane per lo più guardano il contesto scolastico con rispettosa estraneità, come l’appartamento di un vicino che si conosce solo di vista.

La «Chiesa-in-uscita» – così fortemente voluta da papa Francesco – dovrebbe invece trovare nella scuola un ambito in cui essere presente con simpatia umana e pronta intesa: è quella parte del “mondo” che le è più affine ed è il luogo più naturale di incontro con tante famiglie le cui speranze e preoccupazioni, per molti anni, gravitano intorno all’educazione dei figli e al loro percorso scolastico.

Non si tratta di colonizzare spazi altrui o di sfruttare occasioni per fare proseliti. Il sostegno della formazione umana e culturale dei più giovani non conosce campanilismi. La Chiesa, proprio come la scuola, ha a cuore che ciascuno cresca nella personale capacità di interpretare al meglio il senso delle cose e degli avvenimenti, avvalendosi di ciò che impara per scoprire i propri talenti e metterli a disposizione della società per il bene di tutti.

Per questo, come dice il recente documento della Cei Educare, infinito presente, «prima di ogni altro obiettivo e impegno, per la Chiesa la scuola è una realtà da amare e in cui stare con passione e competenza […] La scuola è una risorsa per tutti; per questo a tutti è richiesto di averne cura».

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