Un talento che Dio offre a tutti perché sia fatto fruttificare, non importa dove, come o in che misura. Non coltivarlo sarebbe l’unico vero ozio della vita cristiana
di don Roberto
COLOMBO
Leggendo l’Esortazione Gaudete et exsultate si hanno, fin dalle prime pagine, due impressioni: quella di trovarci di fronte a parole e immagini antiche e nuove al medesimo tempo, le stesse che lo scriba divenuto discepolo tira fuori dal suo tesoro (cfr Mt 13, 52), e quella di un dialogo feriale, da giornata di lavoro o di casa, tra il pastore e il suo popolo. E tornano alla mente le parole di San Giovanni Paolo II a Norcia del 1980: «Benedetto, leggendo i segni dei tempi, vide che era necessario realizzare il programma radicale della santità evangelica, espresso con le parole di san Paolo, in una forma ordinaria, nelle dimensioni della vita quotidiana di tutti gli uomini. Era necessario che l’eroico diventasse normale, quotidiano, e che il normale, quotidiano diventasse eroico». Le virtù del santo sono eroiche perché l’eroico è la virtù della settimana, non solo, né tanto della domenica: secondo l’etimo di virtus, è la forza, il coraggio di tutti i giorni.
Addentrandoci nel testo, se cerchiamo una cifra sintetica dell’idea cristiana di santità che papa Francesco raccoglie dalla ricca tradizione e ripropone, possiamo trovarla al paragrafo 21, ripresa da una catechesi di Benedetto XVI del 2011: «La santità non è altro che la carità pienamente vissuta». E poco oltre precisa: «Grazie a Dio, lungo la storia della Chiesa, è risultato molto chiaro che ciò che misura la perfezione delle persone è il loro grado di carità» (n. 37). Qui Francesco assume, coerentemente con la teologia della “perfezione” teologale, la genealogia greca del latino perfectus, quella di télos, che sottolinea il fine, il compimento della vita cristiana, non tanto l’assenza di limiti e difetti umani (l’im-perfezione). Un compimento cui è legata la nostra felicità (che ci è invece negata proprio dai limiti e dai difetti nostri e degli altri): «Per cui alla carità segue la gioia» (San Tommaso, Summa Theologiae I-II, q. 70, a. 3; citato al n. 122), ricorda il Papa, e la via della santità è la sola via della “perfetta letizia”. Una nota di estetica cristiana: vedere gente lieta è bello per il cuore, per questo «la santità è il volto più bello della Chiesa» (n. 9). Bello, dunque attraente, desiderabile per tutti.
Un prezioso richiamo di metodo nella vita cristiana è offerto da una citazione del Concilio – «ognuno per la sua via» (Lumen gentium, 11) – che ci introduce alla dimensione sempre singolare e irripetibile della santità. In ogni battezzato essa fa «emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui» (cfr 1 Cor 12, 7), senza che «si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui» (n. 11). Nessuno potrà mai esaurire in sé la santità cui Dio chiama tutti in Cristo, e tutti i santi messi insieme non esauriscono, attraverso le innumerevoli declinazioni dell’identica vocazione, le opportunità offerte imprevedibilmente a ciascuno di noi quando ci alziamo dal letto alla mattina per riprendere il compito quotidiano del lavoro, dello studio, della casa, del monastero o della parrocchia. Il “talento della santità” è un investimento popolare che Dio offre a tutti perché lo facciamo fruttificare, non importa dove, come o in che misura. E di cui un giorno ci chiederà conto (cfr Mt 25, 14-30). L’unico vero ozio della vita cristiana – padre di ogni vizio dei cristiani – è non coltivare la santità. E il vizio, si sa, è triste. Come scriveva Léon Bloy osservando la mediocrità borghese del cattolicesimo francese a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, «nella vita non c’è che una sola tristezza: quella di non essere santi».
La storia della Chiesa abbonda di testimonianze della pluriformità di realizzazione dell’unico amore di Dio e dell’uomo nella santità dei laici, dei religiosi e dei pastori. Di questo “popolo di santi”, o di “santi del popolo”, sono ricche anche le terre ambrosiane: un depositum sanctorum da non conservare in un museo diocesano, ma da tenere ben in vista perché diventi la stoffa della vita di fede presente. Una stoffa accessibile a tutti. Come icasticamente si esprime Paul Claudel: «Santità non è farsi lapidare in terra di paganìa o baciare un lebbroso sulla bocca, ma fare la volontà di Dio con prontezza, si tratti di restare al nostro posto o di salire più in alto» (L’annuncio a Maria).