Molte centinaia di fedeli hanno partecipato alla celebrazione eucaristica presieduta in Duomo dall’Arcivescovo in memoria di San Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, «un prete che si è confrontato seriamente con la vocazione alla santità»

di Annamaria Braccini

delpini opus dei (K)

La santità vissuta nel quotidiano, nella professione e in famiglia, che non è un’azione solitaria o eroica, ma docilità a prendere il largo secondo il disegno di Dio. È la memoria liturgica di San Josemaría Escrivá de Balaguer e, in Duomo, come in molte altre chiese del mondo, si ricorda il fondatore dell’Opus Dei, tornato alla Casa del Padre il 26 giugno 1975. Tra le navate gremite di fedeli, cooperatori, aderenti alla Prelatura, l’Eucaristia è presieduta dall’Arcivescovo e concelebrata da diversi sacerdoti, tra cui il prelato per l’Italia don Matteo Fabbri, alcuni presbiteri dell’Opus Dei impegnati in Diocesi, l’arciprete della Cattedrale monsignor Gianantonio Borgonovo e il Moderator Curiae monsignor Bruno Marinoni.

«Ci proponiamo di mettere in pratica ciò che ci chiede e la ringraziamo per la concretezza della proposta dell’arte del buon vicinato – spiega nel suo saluto di apertura don Fabbri, che richiama l’intercessione chiesta al fondatore per il cammino del Sinodo minore “Chiesa dalle Genti” -. Le siamo grati per la profondità e incisività dei suoi interventi, per la semplicità e la simpatia con cui vive la vicinanza ai fedeli della Diocesi, tra i quali sono anche i membri dell’Opus Dei».

Dalle letture del Levitico al capitolo 19, della prima lettera di San Paolo ai Corinzi e del Vangelo di Luca, con gli Apostoli che si fanno pescatori di uomini, si avvia l’omelia di monsignor Delpini: un invito alla santità da sperimentare giorno per giorno seguendo il vento dello Spirito. 

«Viene comandata la santità per la ragione – come si legge nel Levitico – che Dio è santo, ma anche con una misura, “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”, come si dice nel Vangelo di Matteo. Ma come è possibile, per noi povere creature, per noi peccatori, per noi che sperimentiamo così spesso la nostra fragilità e meschinità, l’incostanza e lo scoraggiamento, guardare alla santità di Dio senza esserne abbagliarti e senza sentirsi umiliati dalla distanza insuperabile? Come è possibile per noi, così trattenuti da molti vincoli, costretti dai ritmi ordinari e angusti di impegni quotidiani, conservare l’ardore e lo zelo?», come fu per San Paolo, chiede il vescovo Mario. D’altra parte, «anche la chiamata dei primi discepoli parla di una prontezza a lasciare tutto, di una radicalità di decisione che risulta impossibile. Come possiamo noi, che siamo abitati da timori, esitazioni, timidezze, imitare questi pescatori di Galilea?».

«Eppure, mentre siamo in questa inquietudine, oggi incontriamo il volto sorridente e la parola appassionata di San Josemaría, la testimonianza di un prete che ha raccolto le Parole esigenti di Dio al suo popolo, che si è si è confrontato seriamente con la vocazione alla santità e ha trovato la via dell’insegnamento per orientare il cammino di molti che lo riconoscono come maestro».

Da qui la consegna che si fa, per ognuno, definizione della propria singolare vocazione, nell’unica chiamata a diventare santi: «La santità non è la misura dell’impossibile, non è l’esito di una scalata che mette a dura prova e che solo i più forti, i più intelligenti, i più coraggiosi possono compiere. Lo zelo per diffondere il Vangelo e seguire Gesù non è l’eroismo di coloro che hanno il carattere più determinato, l’inclinazione naturale all’audacia, non è una specie di incoscienza che spezza ogni legame e azzarda ogni rischio: il segreto della santità non è nello sforzo di persone eccezionali, ma nella docilità di ogni uomo, donna, bambino, anziano, di ogni persona colta o ignorante, di ogni ricco o povero… È lo Spirito che spinge ogni barca al largo, delicatamente, là dove ogni rete può raccogliere la enorme insperata quantità di pesci, fin là dove ogni vita può ricevere la sorprendente, incontenibile gioia di Dio.

E questo perché «lo Spirito parla, consiglia, conforta, incoraggia attraverso la Scrittura e la testimonianza apostolica», con quella Parola che, letta magari per anni, risuona un giorno come personale, «indicando il passo che è possibile, la decisione che non è più da rimandare e che offre, finalmente, la risposta alla questione che turba. Lo Spirito Santo spinge avanti, tanto che il cammino non pesa e non si sente la fatica e, anzi, la dedizione generosa alimenta una specie di gusto per la vita; di fierezza per essere al servizio dell’irradiarsi della gioia. Così, i legami familiari non sono un intralcio alla santità, ma un’occasione di amore e di santificazione; così, gli impegni professionali non un territorio di ambiguità, in cui si mescolano ambizioni, costrizioni, compromessi e personalismi, ma un’occasione per servire, per contribuire al bene di altri, per assumere la responsabilità di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato».

Chiara la conclusione. «La barca va al largo, fino al porto della sua destinazione, non per un protagonismo che esibisce la sua forza, ma per un’umiltà che riceve, con gratitudine, la sua Grazia. La santità non è la conquista di un risultato, ma la docilità che non oppone resistenza al soffio amico dello Spirito di Dio. Così abbiamo imparato dalla testimonianza e dall’insegnamento di San Josemaría e impariamo ogni giorno, se facciamo della nostra vita una vela che si espone al vento dello Spirito che la spinge a largo».

Alla fine c’è ancora tempo per un compito che l’Arcivescovo lascia con il segno tangibile dell’immaginetta con la preghiera da lui composta per la Chiesa di Milano: «Portatela con voi e recitatela anche tutti i giorni, ma soprattutto il 7 luglio, quando, un anno fa, fu annunciata la mia nomina ad Arcivescovo di Milano. Forse, quel giorno è più necessaria una preghiera speciale».

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