Le umili origini, la semplicità dei modi, il ministero svolto in un’unica destinazione, con l'attenzione ai ragazzi, ai malati, ai poveri, alla gente a cui la seconda guerra mondiale stravolse la vita: nel profilo di don Ciceri una “ordinarietà straordinaria”
di Cristiano
PASSONI
Mario Ciceri nacque in una modesta cascina di Veduggio, in Brianza, l’8 settembre 1900. Era il quarto di sei fratelli, nati dal matrimonio di Luigi Ciceri e Colomba Vimercati. A breve la famiglia avrebbe accolto altri tredici figli, a seguito della morte di parto della cognata, Giuseppina Galbiati, moglie dello zio Francesco. Sembra un dato scontato per il tempo, ma non lo è affatto. Manifesta una disponibilità all’accoglienza ben radicata nella vita della gente. La povertà, pur grande, non sbarrava le porte al bisogno. Lo spazio stretto non temeva di condividere quanto si aveva e si poteva mettere a disposizione.
Il mondo, nel frattempo, era pieno di novità. È sempre pieno di fascino nascere sulla soglia di un secolo, tutto da scoprire e tutto da inventare. Il Ventesimo secolo, infatti, si apriva all’insegna dell’ottimismo e del progresso con l’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Papa Leone XIII aveva indetto il primo “vero” Anno santo dopo cento anni. Tutto sembrava orientato verso la pace e la fiducia verso il futuro. Come sappiamo, non sarà così. Ci sarebbero state vicende straordinarie e altre drammatiche, che don Mario visse al modo della gente ordinaria. Dopo le speranze di un avvio strepitoso, si susseguiranno in meno di cinquant’anni due guerre mondiali, assai sanguinose e piene di strascichi e ferite per la gente.
Gli anni in Seminario e l’ordinazione
Durante la prima guerra Mario è in Seminario, a Seveso. Ascolta da lì i drammi del conflitto e il bisogno estremo del prendersi cura, di rimanere vicino, ritrovare l’essenziale, per chi è al fronte e per chi è rimasto, per chi tornerà e per chi non tornerà più. È un ragazzo semplice, popolare, «timido e regolare», come si legge nei giudizi del Seminario.
Il 14 giugno 1924 viene ordinato dal cardinale Eugenio Tosi e riceve la sua prima e unica destinazione. Viene inviato nella parrocchia di Brentana di Sulbiate per seguire i giovani e l’oratorio. Vi rimarrà fino al 9 febbraio 1945, anno della sua morte. La vita di quegli anni è quella di un prete semplice, disponibile, incredibilmente vicino alla gente. Nel suo tracciato biografico non ci sono opere, fondazioni di Istituti, scritti particolari. Si occupa degli aspetti essenziali del ministero di un prete di sempre, del tutto omogeneo all’epoca: la cura della liturgia e la celebrazione dei sacramenti, la predicazione ordinaria, l’accompagnamento dei ragazzi e dei giovani, la formazione attraverso l’oratorio e l’Azione Cattolica, dalla quale era stato a sua volta formato a Veduggio. Lascia spazio soprattutto alla carità che prende il sopravvento: la cura dei malati, la visita ai carcerati e il loro reinserimento nella vita ordinaria, i poveri.
La guerra
Quando scoppia la seconda guerra mondiale, don Mario cerca di essere vicino ai suoi giovani al fronte. Si inventa, come probabilmente aveva ascoltato dai tempi della prima guerra mondiale in Seminario, un foglio di collegamento per loro. Nasce così Voce amica, un bollettino con il quale intendeva tenere uniti e vicini i suoi ragazzi, dare e ricevere notizie da casa e dal fronte, sostenere le fatiche, illuminare i cuori. La stessa Fiaccola, la rivista del Seminario, era nata con questo intento, per iniziativa di un seminarista al fronte della Grande guerra.
Inoltre, insieme a molti altri a quel tempo, don Mario non ha paura di rischiare pesante, raccogliendo tutto un popolo ai margini, generato dal conflitto: soldati, sbandati, renitenti alla leva militare in opposizione al regime, i partigiani, i fuggiaschi italiani e stranieri. Le cascine dei dintorni di Brentana, Aicurzio e Bernareggio ne raccoglievano diversi. Spesso si fa compagno di viaggio di questi, con la sua bicicletta, in Valchiavenna, per cercare un varco di salvezza in Svizzera.
Insomma, tutto ordinario e insieme straordinario nella sua ordinarietà. Vengono alla mente le parole di papa Francesco per descrivere la santità del popolo di Dio paziente: «Nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio». Don Mario è la figura consolante di questa santità.