A Molfetta, sui luoghi di don Tonino Bello, si è conclusa l'esperienza dei preti ambrosiani in Puglia. Nella meditazione finale l'Arcivescovo ha richiamato il senso di un ministero che non è facile, né gratificante, ma che può dare frutti
di don Paolo
INVERNIZZI
foto di don Lorenzo Valsecchi
Il nostro pellegrinaggio si conclude a Molfetta. In Cattedrale celebriamo le lodi, accolti da monsignor Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, che ci saluta calorosamente. Il Vescovo ricordato come il nostro pellegrinaggio sia un segno della reciproca accoglienza, per poi spostare il pensiero al Venerabile don Tonino Bello, suo predecessore.
Dopo una presentazione storica della città, una guida illustra le vicende della Cattedrale, costruita come chiesa dei Gesuiti e oggi dedicata all’Assunta. Questa chiesa nel Settecento ha sostituito il Duomo, dedicato a san Corrado, come chiesa cattedrale. Qui si trovano anche le insegne episcopali di don Tonino. Successivamente visitiamo l’appartamento di don Tonino e la cappella in cui era solito pregare.
La meditazione
La seconda parte della mattinata è dedicata a un momento di preghiera e ritiro, con la meditazione dell’Arcivescovo. «Abitare la terra – osserva – significa essere di terra, cioè insieme fragilità e gloria di Dio». Il cristianesimo incarnato è il grande «scandalo» della nostra fede: «Dio abita nella storia, non è fuori di essa, né si riduce a essa». La nostra “carne”, però, rischia di diventare una tentazione in varie forme. «Da cosa dobbiamo liberarci affinché il corpo non sia schiavo delle passioni, come una zavorra, ma la condizione per potersi conformarsi al Cristo incarnato?»
Abitare la terra significa anche «avere cose e darne il nome». «Il rischio però è che siano le cose a dare a noi il nome, cioè a dominarci. Spesso si pensa che denaro e potere siano la fonte della nostra sicurezza. «Quale sensibilità stiamo maturando a proposito della ricchezza, della sicurezza e dello stile di vita?», è l’interrogativo dell’Arcivescovo.
Abitare la terra, infine, significa «coltivare la terra e condurre i greggi ai pascoli», cioè, in primo luogo «costruire a servizio di una comunità, di cui non si è padroni (con il rischio del possesso) ma in cui si coltiva e si fa crescere, con la responsabilità di far fruttificare», e poi svolgere «la missione e il ministero itinerante, con le tentazioni di sottrarsi alle responsabilità o di non sentirsi nessuno».
«Non è mai stato promesso un cammino facile e gratificante a coloro che hanno accolto la chiamata a seguire Gesù e ad abitare la terra con il suo stile – conclude monsignor Delpini -. Una promessa però è stata fatta: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto”».
La celebrazione finale
A conclusione del ritiro, l’Arcivescovo presiede l’Eucarestia presso il Seminario maggiore, rivolgendosi idealmente nella sua omelia alle «anime assetate» di cui si parla nel Siracide, chiedendole di raccontarsi. «Esse – afferma – ricercano la fonte che zampilla, ardono, vegliano e non disperano».
Cronaca del pellegrinaggio:
17 febbraio 2022: quarto giorno: Ricordare Dio, il segreto per abitare la terra
16 febbraio 2022, terzo giorno: «Dio sa che nulla è irrimediabile»
15 febbraio 2022, secondo giorno: Sulle rive del Mediterraneo, frontiera di pace
14 febbraio 2022, primo giorno: «Siamo chiamati a evangelizzare i popoli»