L’Arcivescovo ha presieduto, nella IV domenica dell’Avvento, la celebrazione in Cattedrale. «Le feste di sant’Ambrogio e dell’Immacolata ci aiutino a entrare più profondamente e gioiosamente nel mistero che ci salva»
di Annamaria
Braccini
La celebrazione presieduta in Duomo dall’Arcivescovo nella IV domenica dell’Avvento ambrosiano – con l’ingresso di Gesù a Gerusalemme – è il modo migliore per ricordare cosa sia veramente l’attesa di chi salva, del «re messianico» grazie al quale i discepoli «sono pieni di gioia», mentre altri ne sono scandalizzati.
Infatti se, come suggerisce il vescovo Mario, «Gesù risulta essere temuto per una ragione politica e questo tema può ispirare la nostra preghiera e la nostra conversione», così anche la gioia (quella vera) dovrebbe dire qualcosa a una città che, appena fuori dalle porte della Cattedrale, vive un disordinato agitarsi continuo, a guardare bene assai poco gioioso. Forse perché, appunto, non si sa più cosa sia la gioia del Signore che irrompe nella storia con un potere capace «di curare le ferite dell’umanità».
Un potere, questo, ovviamente diverso da quello umano che «si rivela solo nell’efficacia delle sue opere, nei risultati conseguiti, nelle vittorie ottenute». E poiché tutti abbiamo «una qualche forma di potere», ciò rappresenta una grande tentazione di abusi, di usare del potere in modo da opprimere, invece che liberare, in modo da umiliare invece che esaltare la dignità delle persone e incoraggiarne la crescita, la libertà, l’autonomia».
Sia che il proprio potere si eserciti «in ambito politico o amministrativo, ma anche nei ruoli che siamo chiamati ad assumere nella società, nella scuola, nella comunità cristiana, nelle famiglie e nelle associazioni di cui facciamo parte».
L’esercizio del potere
Ovvio, in tale contesto, domandarsi «quali siano i risultati del nostro esercizio del potere con un bilancio che spesso elenca numeri, confronti tra i bilanci precedenti, opere portate a buon fine, programmi realizzati, oppure, cose tentate e non riuscite».
Al contrario, da cristiani, occorrerebbe domandarsi a chi abbiamo dato gioia.
«La gioia – scandisce l’Arcivescovo – non è un patrimonio che si può contare, su cui si possono fare statistiche, piuttosto richiede attenzione alle persone perché ciascuno si senta ascoltato, compreso, accolto, perdonato, incoraggiato».
Da qui la domanda diretta: «Come eserciti il tuo potere, tu che sei mamma, papà? Tu che sei prete, che hai incarichi pastorali, incarichi nella scuola, nella cura dei malati, nell’amministrazione pubblica?».
La politica della speranza
Il pensiero torna alla politica della speranza che sconfigge la morte. «Liberare dal timore della morte è la missione di Gesù, ma uomini e donne non disponibili a prendere sul serio l’annuncio della Risurrezione, continuano a condurre una vita sotto il segno nella morte. Il timore della morte rende schiavi, disponibili a servire qualsiasi padrone pur di evitarla, inclini a consegnarsi a qualsiasi distrazione pur di non pensarla, propensi a ogni forma di dipendenza che tolga lucidità e realismo, perché la persuasione che il realismo non possa essere che disperazione gela ogni ardore e avvolge di tristezza ogni piacere».
«Perciò è necessaria una politica della speranza cioè una testimonianza della carità che non si ritragga dallo sperpero di sé, dal sacrificio, per dire che niente va perduto, che ogni dono è una seminagione di promesse affidabili, che ogni sacrificio sofferto per amore è sequela di Gesù e che diventare partecipi della fragilità è la via per diventare partecipi della sua gloria».
A conclusione della Messa, ancora un auspicio: «Invochiamo la benedizione del Signore per la città di Milano e la regione Lombardia che si prepara a celebrare la festa del Patrono, Ambrogio. Chiediamo la grazia che le grandi feste di sant’Ambrogio (domani 6 dicembre ore 18.00) e dell’Immacolata ci aiutino a entrare più profondamente e gioiosamente nel mistero che ci salva».