In Duomo l'Arcivescovo ha presieduto la celebrazione della Passione. Nell'omelia un riferimento alla guerra: «La preghiera per la pace diventi cammino di conversione per percorrere le vie della pace»

Passione 2023
L'Arcivescovo in preghiera davanti alla croce

di Annamaria BRACCINI

Il racconto angosciante della Passione del Signore che pare confermare la convinzione che l’umanità – 2000 anni fa come oggi – sia «fatta male e cattiva», ma che, pure, può far comprendere a questa stessa umanità la sua vocazione autentica nell’essere tutti figli di Dio e, dunque, fratelli salvati dal sacrificio di Cristo.

Non è difficile vedere nell’omelia dell’Arcivescovo, che presiede in Duomo la celebrazione della Passione e della Deposizione del Signore, il monito che viene dal Venerdì Santo con la sua solenne liturgia, definita anche «Pasqua di Crocefissione» secondo l’antico Rito ambrosiano. Passione – concelebrata dai membri del Capitolo metropolitano della Cattedrale, dal vescovo monsignor Giuseppe Merisi e dal vicario episcopale per la Zona I monsignor Carlo Azzimonti -, nella quale sono molti e carichi di un significato evidente i gesti e i segni che rendono viva la memoria del sacrificio del Redentore. Come il Rito della luce iniziale, l’Inno, la prima e la seconda Lettura dal Libro del profeta Isaia che prefigurano la figura del Servo di Dio Gesù, precedendo il canto del Tenebrae (anch’esso tipico ambrosiano). Fino ad arrivare al Vangelo di Matteo, che riprende dal punto in cui si era concluso nella celebrazione in Coena Domini e che, proclamato dall’Arcivescovo (è l’unica volta che avviene durante l’anno, per un un’antica tradizione della Chiesa Cattedrale), si interrompe nel momento in cui «Gesù gridò a gran voce ed emise lo Spirito», mentre in Duomo scende l’oscurità, ci si inginocchia ed è spogliato l’altare.

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Dopo la ripresa del Vangelo, l’omelia dell’Arcivescovo scuote la coscienza di noi cristiani tiepidi del terzo millennio.

La domanda di fronte alla croce

«Si deve trovare, nel racconto della Passione, la conferma che l’umanità sia cattiva? Si deve, dunque, ritenere che le istituzioni politiche siano ostaggio degli umori popolari? Hanno ragione coloro che sono convinti che i responsabili delle istituzioni religiose siano dominati da una ideologia indiscutibile che sopprime senza pietà la voce di Gesù come è stato fatto dei profeti? Si deve pensare che le folle siano stupide, facilmente manovrabili, se passano dall’accoglienza entusiasta del re mite all’ostinata richiesta che sia crocifisso? Si deve constatare che c’è nell’umanità un principio di crudeltà?».

E allora l’interrogativo, cui dà voce esplicita l’Arcivescovo, viene spontaneo: «Dove sono i buoni, i discepoli, gli amici, quelli che si dichiaravano disposti a morire con Gesù? Queste stesse domande ci accompagnano quando consideriamo lo spettacolo contemporaneo. Che si deve pensare dell’umanità che si ammazza in guerra, delle istituzioni e delle autorità politiche nazionali e internazionali ridotte all’impotenza e all’inconcludenza di fronte ai drammi tremendi della miseria, delle guerre, delle ingiustizie? Che si deve pensare degli affari che prosperano nella corruzione, vendendo armi, spacciando droga, comprando l’indifferenza? L’umanità è veramente stupida, crudele, è vile, incapace di scrivere una storia diversa?».

Di fronte a quello che l’Arcivescovo definisce «lo spettacolo desolante, il buio cosmico e l’ultimo grido, il velo squarciato invita a riflettere, il tremare della terra distoglie il pensiero dai luoghi comuni, dalle parole logore e grigie e, dallo spavento, nasce una specie di professione di fede». Ma come interpretare con uno sguardo nella speranza affidabile «la tragica vicenda di Gesù?».

«Non parlate troppo male dell’umanità»

«Nell’ultimo grido l’evangelista Giovanni ha decifrato il compimento della rivelazione. Gesù grida: “Fratelli, sorelle, povera umanità desolata, io vi ho amato fino alla fine, vi amo”. Il Figlio di Dio rivela la volontà di Dio che vuole che tutti siano salvati». Così la morte del Signore non è un modo per dire che l’umanità è malata (e purtroppo sappiamo quanto lo sia) ma – questa è la grande speranza – che piuttosto, «rivela il compimento della dichiarazione di amore di Dio e la salvezza». Una parola che salva guardando, anche nel venerdì di Passione, alla Pasqua di risurrezione.

«Che si deve dire dell’umanità, che è vile e crudele? – sottolinea l’Arcivescovo -. No, si deve dire che è amata da Dio. Non parlate troppo male dell’umanità, piuttosto esplorate quale via si deve percorrere perché riveli la sua realtà profonda». Quella del desiderio di pace che è nel cuore di moltissimi, come ha testimoniato anche l’adesione all’appello “Noi vogliamo la pace”. «La preghiera per la pace è praticata da mesi nelle nostre comunità svegliate a una considerazione realistica della situazione contemporanea dal clamore della guerra in Ucraina che mostra questo dramma tremendo che sempre insanguina la terra in tante parti che, forse, preferiamo non vedere e a cui non vogliamo pensare».

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Pregare per la pace alla sequela del Signore

«Continuiamo a pregare per la pace, aprendo lo sguardo su tutte le guerre che straziano l’umanità a causa dell’avidità, della stupidità, delle passioni che tormentano gli animi dei potenti e le memorie dei popoli. Ma la preghiera per la pace per coloro che celebrano la passione del Signore deve diventare cammino di conversione per percorrere le vie della pace, cioè la via di Gesù, la via del mite assetato di giustizia, che ama fino al perdono. Mettiamoci in cammino verso il morire di Gesù, principio di vita nuova: questa umanità è amata da Dio, l’amore di Dio semina principi di amabilità e questa umanità diventa amabile e riconosce la regalità di Gesù e segue Gesù per scrivere una storia ispirata al grido che squarcia il velo del tempio». Scandita, la conclusione: «Il regno di Dio è vicino, entra con il passo dei giusti, dei miti che seguono il passo di Gesù».

Una fede confermata dall’adorazione della croce portata in processione dal fondo del Duomo  all’altare – tra coloro che baciano il crocifisso anche due ragazzi dell’Agesci di Parma, in rappresentanza di tanti coetanei che seguono la celebrazione – e nella preghiera universale. La più solenne dell’anno liturgico, con le sue 11 orazioni che paiono abbracciare il mondo intero, dal Papa alla Chiesa, dai fratelli maggiori ebrei ai cristiani di tutte le confessioni, da chi non crede ai governanti, dall’umanità sofferente per tutte le epidemie a chi è in guerra, fino ai defunti.

Infine, la celebrazione della Deposizione del Signore, con le due letture dal profeta Daniele e con la continuazione del Vangelo di Matteo, mentre tra le navate scende il silenzio e viene velata la Croce.

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