Redazione
Benedetto XVI, nell’omelia, ha citato il filo ininterrotto che lega la vita delle comunità cristiane ai santi e ai martiri dei nostri giorni.
Le “prove”, “per quanto dolorose e pesanti, mai possono intaccare la gioia profonda che deriva dall’amore di Dio”. Lo ha detto il Papa, durante l’omelia della messa da lui celebrata giovedì pomeriggio allo Stadio “Bentegodi” di Verona, in occasione del 4° Convegno ecclesiale nazionale. Come esempio ancora attuale di perseveranza nella fede, Benedetto XVI ha citato il filo ininterrotto che lega la vita delle comunità cristiane ai santi e ai martiri dei nostri giorni: “Dal giorno della Pentecoste – ha ricordato – la luce del Signore risorto ha trasfigurato la vita degli Apostoli”, “testimoni prescelti e responsabili di una rivelazione a cui era legata la salvezza dei loro contemporanei e di tutte le future generazioni”.
“La fede pasquale – ha proseguito – riempiva il loro cuore di un ardore e di uno zelo straordinario, che li rendeva pronti ad affrontare ogni difficoltà e persino la morte”, “senza paura” delle “dure persecuzioni” e del martirio. Una “verità”, questa, “documentata anche in Italia da quasi due millenni di storia cristiana, con innumerevoli testimonianze di martiri, di santi e beati, che hanno lasciato tracce indelebili in ogni angolo” dell’Italia. “Noi siamo gli eredi di quei testimoni vittoriosi!”, ha esclamato il Papa.
“La certezza che Cristo è risorto ci assicura che nessuna forza avversa potrà mai distruggere la Chiesa”, perché “soltanto Cristo può pienamente soddisfare le attese profonde del cuore umano e rispondere agli interrogativi più inquietanti sul dolore, l’ingiustizia e il male, sulla morte e l’aldilà”. Ne è convinto il Papa, che nell’omelia della Messa allo Stadio Bentegodi di Verona, in occasione del 4° Convegno ecclesiale nazionale, ha affermato: “La nostra fede è fondata, ma occorre che questa fede diventi vita in ciascuno di noi”.
Di qui la necessità di “un vasto e capillare sforzo da compiere perché ogni cristiano si trasformi in testimone capace e pronto ad assumere l’impegno di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima”, come recita la Prima Lettera di Pietro. Secondo Benedetto XVI, “occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo, fulcro portante della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza ogni paura e indecisione, ogni dubbio e calcolo umano”. “Solo da Dio – ha concluso il Santo Padre – può venire il cambiamento decisivo del mondo”.
“Portate nel mondo la speranza di Dio, che è Cristo Signore, il quale è risorto dai morti, e vive e regna nei secoli dei secoli”. Si è conclusa con una sorta di mandato missionario l’omelia in cui Benedetto XVI ha formulato l’augurio “che la Chiesa in Italia possa ripartire da questo Convegno come sospinta dalla parola del Signore risorto che ripete a tutti e a ciascuno: siate nel mondo di oggi testimoni della mia passione e della mia risurrezione”.
“Cristo è speranza per il mondo perché è risorto, ed è risorto perché è Dio”, ha spiegato Benedetto XVI, secondo il quale “anche i cristiani possono portare al mondo la speranza, perché sono di Cristo e di Dio nella misura in cui muoiono con Lui al peccato e risorgono con Lui alla vita nuova dell’amore, del perdono, del servizio, della non-violenza. Solo se, come Cristo, non sono del mondo, i cristiani possono essere speranza nel mondo e per il mondo”. “Nel suo nome recate a tutti l’annuncio della conversione e del perdono dei peccati, ma date voi per primi testimonianza di una vita convertita e perdonata”, ha esortato il Papa, anche nelle “tante le situazioni difficili che attendono un intervento risolutore”.