Redazione
Il senso ancora oggi vivo del suo messaggio educativo e della sua lunga riflessione culturale è forse quello di costruire sane relazioni tra la politica e il suo determinante orizzonte fondativo. Lungo tutta la sua vita egli ha richiamato, con le parole e con le scelte, la primaria importanza della scelta di fondare la politica su un terreno più solido e profondo: potremmo forse sintetizzare questo terreno facendo riferimento al binomio «fede e cultura». Le radici dell’impegno politico stanno inizialmente nel particolare radicalismo evangelico di Lazzati. Ma la fede non basta a far politica, anzi: chi pretende di avere le chiavi di una «politica cristiana» rischia solo di ideologizzare le proprie posizioni contingenti. «Agire politicamente» è possibile se ci si basa sopra un retto «pensare politicamente». La laicità della politica fonda in modo radicale la responsabilità e l’autonomia laicale (rispetto alla comunità ecclesiale) e comporta anche un forte senso della storia e dei mutamenti.
di Guido Formigoni
Presidente di «Città dell’uomo»
Giuseppe Lazzati fu uomo e cristiano coerente e lineare quant’altri mai nella sua lunga vita, che attraversò quasi per intero il denso XX secolo. La politica ebbe per lui un ruolo significativo ma circoscritto e precisamente definito: egli non fu mai preda della «politica assoluta» novecentesca.
Certo, condivideva con la parte migliore della sua generazione un approccio «alto» alla politica, cui venivano attribuiti significati ordinatori e «architettonici»: non a caso la sua definizione di politica rimandava all’espressione «costruire la città dell’uomo».
La sua missione fondamentale, però, non fu politica: egli si è sempre ritenuto piuttosto un educatore di giovani, un maestro di vocazioni, uno studioso e insegnante. Ebbe ruoli politici anche rilevanti per 7 anni, dal 1946 al 1953: fu padre costituente, uomo di partito nella Democrazia cristiana, deputato impegnato nell’azione legislativa, con un contributo però sempre più mirato sul piano etico-politico e culturale che non su quello dell’azione politica in senso stretto.
Ci resta di quel periodo soprattutto l’alta riflessione sui rapporti tra fede e politica, tra Chiesa e partito, tra dottrina cristiana e scelte storiche, che risuonava non consueta in un mondo cattolico che tumultuosamente scopriva di essere diventato classe dirigente del Paese dopo decenni di emarginazione.
Il senso ancora oggi vivo del suo messaggio educativo e della sua lunga riflessione culturale è forse quello di costruire sane relazioni tra la politica e il suo determinante orizzonte fondativo. Lungo tutta la sua vita egli ha richiamato, con le parole e con le scelte, la primaria importanza della scelta di fondare la politica su un terreno più solido e profondo: potremmo forse sintetizzare questo terreno facendo riferimento al binomio «fede e cultura».
Le radici dell’impegno politico stanno inizialmente nel particolare radicalismo evangelico di Lazzati. Il laico credente deve essere portatore del significato e della rilevanza cristiana del suo impegno in tutti i campi della vita, anche in quello politico, in quanto è su questi delicati terreni che egli esprime la verità della propria fede (questa è, tutto sommato, l’«idea una» che racchiude la vita del professore milanese).
La sottolineatura più forte per i credenti che intendessero avvicinarsi alla politica è sempre stata quella spirituale: occorreva ripensare alle virtù cristiane come bagaglio essenziale per collocare la politica al giusto posto. E anche la politica stava in un orizzonte escatologico, nell’attesa del Regno che deve venire. Il problema fondamentale da cui partire resta sempre la qualità dell’esperienza cristiana, della vita del credente, che invece gli «organizzatori» cattolici danno sempre drammaticamente per scontata.
Ma la fede non basta a far politica, anzi: chi pretende di avere le chiavi di una «politica cristiana» rischia solo di ideologizzare le proprie posizioni contingenti. Ecco il ruolo della cultura. La cultura è l’anello che unisce la perenne centralità della grazia del Signore Gesù con la varietà delle questioni di cui il politico si deve occupare, nella complessità della società contemporanea.
Appunto, «agire politicamente» è possibile se ci si basa sopra un retto «pensare politicamente». Occorre sempre una specifica comprensione dei problemi, nella loro pregnanza storica, evitando ogni «soprannaturalismo» (così si esprimeva Lazzati fin dal 1949), ogni illusione che essere buoni cristiani, uomini di fede e di pietà, basti di per sé solo a risolvere i problemi politici.
La laicità della politica fonda in modo radicale la responsabilità e l’autonomia laicale (rispetto alla comunità ecclesiale) e comporta anche un forte senso della storia e dei mutamenti, da comprendere soprattutto per via culturale e da modificare, se possibile, tramite progetti culturalmente solidi e fondati. La logica dell’«unità dei distinti» è legge culturale fondamentale: occorre valorizzare tutti i settoriali e autonomi contributi delle varie branche del sapere, ma anche collegarli sempre in sintesi complessive, con una ragione interna profondamente unitaria.
L’urgenza di riprendere a riflettere sul ruolo «forte» della politica prima o poi si ripresenterà anche nelle nostre stanche società occidentali, che si sono adagiate nella stagione della «politica debole»: preparandosi per quel momento, la lezione di Lazzati conserva tutta intera la sua validità.