Redazione
La famiglia religiosa nasce da un’intuizione di monsignor Biraghi: «Essendo io in Milano, provavo gran pena del guasto dell’educazione; con l’aiuto di Dio pensai che si potesse istituire un corpo religioso che unisse il metodo e la scienza con lo spirito cristiano e le pratiche evangeliche».
di suor Laura Radif
La congregazione delle Marcelline, che mons. Luigi Biraghi fondò, fu il frutto di una geniale intuizione pedagogica unita all’ardore di un autentico apostolo che, per conquistare alla fede la cristianità minacciata dalle promesse della scienza e del progresso, scelse di intervenire là dove il cristianesimo ha il suo primo sviluppo, nella famiglia, e dove la scienza pone le sue prime radici, nella scuola. Fondò così un istituto di educazione femminile.
Nel sec. XIX il problema educativo suscitava il massimo interesse e, fondando il suo istituto per l’educazione delle fanciulle, il Biraghi rispondeva alle varie istanze dello Spirito: la sua stima per la cultura, il suo zelo missionario, il suo amore per la gioventù. L’opera fruttificò oltre le sue attese e, a 168 anni dal suo inizio, continua a essere un mezzo efficace, come egli la volle, per «insegnare Gesù» agli uomini del nostro tempo.
Con l’apertura del primo collegio a Cernusco sul Naviglio (1838), di altri due a Milano (1854, 1858), uno a Genova (1868) e uno a Chambéry in Savoia (1875), le Marcelline vennero considerate una delle congregazioni educative più al passo con i tempi; le autorità scolastiche ne approvarono l’attività, le autorità religiose ne benedicevano l’apostolato. Per tutto questo, dopo la morte del Fondatore, madre Videmari trovò il coraggio di estendere l’opera sino a Lecce (1882) dove l’educazione femminile diede frutti meravigliosi. Educazione femminile – si sottolinea – nella forma semplice e insieme austera del far scuola e del convivere con le collegiali, per formarle vere cristiane, con «l’esempio della vita, più che con molti precetti». Un campo d’azione tanto limitato da sembrare dover precludere più vasti orizzonti. Non fu così per le Marcelline, aperte, come il Fondatore le volle, all’azione dello Spirito.
Nei primi decenni del ’900, incoraggiate da san Pio X, esse portarono la loro opera in Brasile. Missionarie, ma ancora e sempre educatrici nei collegi delle maggiori città brasiliane, secondo il “metodo benedetto” indicato dal Fondatore: «state sempre in mezzo alle alunne…Insegnerete più con l’esempio che con tanti precetti». E proprio in Brasile sarebbero sbocciate le nuove opere della Congregazione che, potenzialmente presenti nell’ispirazione del Fondatore, avrebbero determinato le scelte delle Marcelline nella novità dell’oggi. Innanzitutto l’emergenza “sanità”, affrontata in ospedali locali come a Itaquera (1960) dove è sorto un grande centro ospedaliero noto in tutto il Brasile e con attività ambulatoriale anche itinerante, nel senso che una suora infermiera raggiunge, con lunghi e disagevoli percorsi, nelle zone più impervie, gli abitanti bisognosi di interventi sanitari. E proprio ai margini della foresta amazzonica le Marcelline, a Porto Velho, dirigono una colonia di Hanseniani e un ospedale per i poveri. Anche in Italia si presentò alle suore la richiesta di prestarsi in campo ospedaliero, ed ecco sorgere a Tricase, nelle Puglie, il grande ospedale con annessa scuola per la preparazione degli infermieri. Oggi questo centro ospedaliero “Cardinal Panico” è uno dei maggiori centri del sud Italia.
Negli ultimi decenni del secolo scorso la chiamata a educare si è estesa anche in Canada e in Messico dove si coniuga l’opera della scuola con quella sociale. In questi ultimi anni, poi, il richiamo educativo ha interpellato la Congregazione nell’Europa dell’est: proprio quest’anno si festeggiano i dieci anni della presenza delle Marcelline a Saranda in Albania e, nel nome del Fondatore in occasione della sua Beatificazione, si sta per iniziare un’opera apostolica in Africa, nel Benin, a Cotonou.
Nel nostro tempo, in particolare i giovani, la solitudine degli anziani, l’ansia degli ammalati ci interpellano tanto: che siano ricchi o poveri, tutti sono per noi il Cristo che ha fame, soprattutto di libertà in un mondo che propone valori così poco rassicuranti, fame che vorrebbe trovare un modo di colmare il vuoto, dentro. E noi cerchiamo di dire loro, «più con l’esempio che con tanti precetti», che solo l’infinito può colmare la sete d’infinito, può dare il gusto di vivere.