Nella solenne Veglia Pasquale in Duomo, cui hanno preso parte migliaia di fedeli, l’Arcivescovo ha battezzato 9 Catecumeni. «Questi fratelli e sorelle che chiedono di rinascere a nuova vita cantano la giovinezza della Chiesa»
di Annamaria
Braccini
La Chiesa giovane che corre, che non ha paura perché porta al mondo l’annuncio di un nuovo inizio.
Questa è la Chiesa della Veglia nella Pasqua di Risurrezione del Signore, madre di tutte le Sante veglie, come la definì sant’Agostino, che si apre in Duomo presieduta dall’Arcivescovo, con l’accensione del cero pasquale – simbolo del Risorto – al lume benedetto portato dai 9 Catecumeni che ricevono, nella stessa liturgia, il Battesimo, la Cresima e la Comunione. Concelebrano i Canonici del Capitolo metropolitano e alcuni stretti collaboratori del Vescovo, tra cui il responsabile del Servizio per la Catechesi e il Catecumenato, monsignor Antonio Costabile; assiste al Rito l’archimandrita Teofilactos Vitsos del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli; sono presenti 4 parrocchie del Centro Storico, con il Decano monsignor Gianni Zappa, alle quali viene consegnata l’acqua benedetta del fonte battesimale della Cattedrale.
Lo splendido Preconio pasquale, solenne e tipico ambrosiano, risalente alla fine del V secolo-inizio del VI, che risuona in latino tra le navate, è cantato in latino dal diacono, quale sintesi poetica dell’intera storia della salvezza. Nel Duomo prima in ombra, si accendono le luci e guidati dalla straordinaria ricchezza della Parola di Dio, attraverso nove Letture – 6 dai Libri sacri di Israele – si contempla il miracolo della perenne novità del Signore, prefigurata nel primo Testamento.
Finalmente, il triplice annuncio della Risurrezione, “Christus Dominus resurrexit” peculiare del Rito ambrosiano e in tutto simile al “Cristos Anesti” della liturgia bizantina nella Pasqua ortodossa, viene proclamato, con voce crescente, dall’Arcivescovo ai tre lati dell’altare maggiore della Cattedrale. Le campane, in silenzio dalla Celebrazione della Passione del Signore del Venerdì santo, si sciolgono e torna l’atteso canto dell’Alleluia, assente dalla prima Domenica di Quaresima.
È la gioia del popolo di Dio per il Signore risorto, come si legge nella pagina del Vangelo di Matteo, per la luce che sconfigge le tenebre. Tenebre dei sepolcri: quelle che terrorizzano l’umanità del Terzo millennio, non per il loro significato autentico, ma semplicemente perché si nega la morte, come scandisce, in apertura della sua riflessione, monsignor Delpini.
L’omelia dell’Arcivescovo
«C’è ancora una parola da dire a questa umanità stanca e rassegnata? C’è ancora qualche cosa da dire alle povere donne che vanno a onorare il figlio morto, l’amico morto, il maestro morto? C’è ancora qualche forma di conforto nel condividere il lutto, nel piangere insieme? Non è forse meglio disertare i sepolcri, lasciar perdere i riti funebri? Non è forse più saggia la consuetudine contemporanea che censura la morte?».
Come le donne, che si avvicinano al sepolcro del Signore rassegnate, così siamo noi, che seppelliamo «gli affetti e la speranza nella tomba nuova», non credendo più alla «verità essenziale», suggerisce Delpini.
Quella, appunto, «dell’annuncio che scuote la terra e tramortisce gli uomini, ma che è affidata alle donne dai passati tempestosi, dagli affetti intensi; donne conquistate dalle parole e dalla delicatezza di Gesù. Donne che corrono, che temono, che sono abitate dalla gioia, che hanno qualche cosa da dire ai discepoli radunati a discutere su come riconoscere la fine tragica di una bella speranza e di una bella esperienza».
Sì, le donne che comprendono subito la realtà profonda del sepolcro vuoto e non hanno paura di dire a tutti che c’è qualcuno che ci precede in Galilea.
Inizia qui la storia nuova, intravvedendo «il passaggio dal gruppo di coloro che seguivano Gesù senza capirne gran che, alla comunità che corre per le vie del mondo e per i secoli della storia con timore e gioia perché è incaricata di un annuncio che smentisce i pensieri funebri e sveglia gli animi stanchi e rassegnati per convocarli a un incontro». Solo per questo la Chiesa, deve e vuole correre «perché è troppo triste la storia, è troppo disperata la gente, è troppo insopportabile la disperazione».
«Corri, santa Chiesa di Dio, con timore e gioia grande, perché l’annuncio che devi portare è troppo bello e troppo inaudito, la verità che porti è troppo sconvolgente per le inerzie del pensiero e i dogmi indiscutibili della sapienza e della scienza. Corri, santa Chiesa di Dio, con timore, perché puoi prevedere la reazione scettica, il discredito pregiudiziale, l’inadeguatezza delle tue parole, eppure continua ad annunciare perché non venga meno una parola di speranza».
Infatti, per la Chiesa giovane, «mentre l’Occidente sembra aver decretato la sua estinzione per una irrimediabile vecchiaia, vengono, da tutte le genti, fratelli e sorelle per renderla bella di nuova giovinezza».
E, così, l’ingresso nella vita cristiana dei 9 Catecumeni – 3 provenienti dalla Cina, 2 originari dell’Albania, una statunitense, un peruviano, un egiziano e una ragazza nata a Milano, ma di origini cinesi (3 di loro hanno poco più di 20 anni, il più “anziano” 53) –, e il rinnovo delle promesse battesimali da parte dell’intera assemblea, divengono il simbolo di un domani dove risuona davvero il “Non abbiate paura” del Vangelo della Risurrezione e l’annuncio di «una nuova possibile giovinezza all’umanità».