In Curia l’Arcivescovo ha presieduto la celebrazione dei Vespri con la Prima oblazione di fratel Riccardo Tremolada e il rinnovo dei voti di fratel Michele Trabacchino
di Annamaria
BRACCINI
«Costruire un’appartenenza, cercare insieme il Signore, desiderare ardentemente il compimento che è la gloria di Dio»: sono tre le indicazioni che l’Arcivescovo, presiedendo i Vespri, consegna a fratel Riccardo Tremolada per la sua Prima oblazione nel cammino di Fratello oblato diocesano (della durata di 6 anni), a fratel Michele Trabacchino per il rinnovo dei voti e a quanti sono riuniti per l’occasione nella Cappella arcivescovile.
«La Congregazione degli Oblati, specie i fratelli, si ritrovano qui con gioia. Credo che possiamo dare unità a questo Vespro in due “sì” che si incontrano. Il sì del Signore con il suo amore e la sua fedeltà che non viene meno e il nostro sì a Gesù», dice nel saluto introduttivo padre Giulio Binaghi, prevosto della Congregazione degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo di Milano. Espressioni che l’Arcivescovo riprende nella sua omelia: «Queste parole offrono il clima spirituale per un momento da vivere mettendosi davanti a Dio come persone e come Chiesa. Facciamo festa, ci congratuliamo, troviamo in queste scelte personali un motivo di incoraggiamento. La Chiesa e la comunità dei Fratelli Oblati può sperare nel suo futuro».
Tuttavia – osserva – occorre un’attenzione specifica, «proprio perché, nei momenti celebrativi può nascere quasi una specie di esaltazione del gesto, come se fosse una forma di eroismo o di particolare coraggio. Invece credo che non bisogna esaltarsi o esaltare questi nostri due fratelli perché compiono un’impresa gloriosa, ma bisogna piuttosto ammirarne l’umiltà. L’Oblazione o il consacrarsi indica la consapevolezza che si deve appartenere a una comunità per salvarsi. Mi pare che questo passo sia per dire la verità di ciò che Dio ci ha detto: “non è bene che l’uomo sia solo”; perciò si entra in una comunità o ci si sposa o si fa parte di una comunità più grande che è la Chiesa. Siamo mendicanti di aiuto per proseguire nel cammino della santità. I consacrati e i preti non devono essere esaltati come se fossero degli eroi, ma devono essere accompagnati. Noi raggiungiamo la nostra salvezza, sperimentiamo la grazia di Dio attraverso un’appartenenza. Per questo c’è un’oblazione, perché c’è una Chiesa che chiede e offre aiuto».
Dalla prima parola, «appartenenza», ne deriva una seconda: «L’amicizia non basta», in riferimento alla pagina del Vangelo di Giovanni nell’episodio di Lazzaro. «L’amicizia è una magra consolazione, non risolve nulla, definisce solo una buona qualità della relazione. C’è un modo di entrare nella vita, anche attraverso le strade dell’amicizia, che è quello della potenza di Dio. Il Maestro è qui e ti chiama. La convivenza fraterna o coniugale si rivela inadeguata al bisogno che abbiamo di essere salvati: la salvezza viene dall’andare verso Gesù, non solo dal trovarci bene tra noi. La comunità cristiana e delle persone consacrate serve per dire che andiamo insieme verso il Signore. Solo Lui è la vita e può salvare dalla morte».
Infine, «il desiderio del compimento, ardendo dal desiderio di vedere al gloria di Dio». «Non bastano buone parole per vivere bene, abbiamo bisogno di una vita più grande, di una vita eterna, e questo è uno degli scopi della vita consacrata: essere in attesa del Regno, esprimere, tra i fratelli e le sorelle, questa speranza. La vita consacrata deve dare testimonianza di ciò che diciamo nel “Credo”. Oggi pare che nessuno desideri più il paradiso, anche se solo nell’incontro con il Signore c’è la pienezza della gioia che è vedere la gloria di Dio».
Poi, dopo il canto del Magnificat e la commemorazione del battesimo, i gesti della Prima oblazione, con l’“Eccomi”, le interrogazioni, la formula di oblazione, la consegna dello Statuto e la benedizione dell’abito subito indossato da Riccardo, mentre Michele rinnova i suoi voti. Il ringraziamento finale è di don Donato Cariboni, superiore della Comunità dei Fratelli Oblati Diocesani che, richiamando la Proposta pastorale dell’Arcivescovo, sottolinea «la grazia incomparabile della vita consacrata in tutte le sue forme».
A suggellare la celebrazione è l’augurio dell’Arcivescovo, che indossa la stola con le immagini di San Carlo, il rocchetto che fu dei cardinali Schuster e Montini e la croce pettorale dello stesso Schuster – il Beato che fece rinascere la Comunità degli Oblati -, «a indicare l’ininterrotta storia dei Vescovi santi e della Chiesa ambrosiana. Siate benedizione per chi vi incontra. La benedizione sia per questi Oblati e per tutti noi una forza».