A due giorni dalla sua nomina ad Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini è tornato nel suo paese natale dove ha presieduto la Celebrazione eucaristica. «Molti rischiano di ignorare la visita di Dio che può riempire la casa di gioia e di speranza», ha detto ai fedeli riuniti nella chiesa di San Giorgio
di Annamaria
Braccini
I manifestini con l’augurio della sua gente e il benvenuto affettuoso esposti sulle strade, alle porte delle case, nelle vetrine dei negozi, l’applauso che lo saluta, l’emozione dei parenti e dei tanti che lo hanno conosciuto, magari, fin da bambino. Jerago (comune con Orago di 5000 abitanti in provincia di Varese) è in festa, e non potrebbe essere altrimenti per il proprio concittadino divenuto, da sole 48 ore, Arcivescovo di Milano. Monsignor Mario Delpini, arriva, infatti, nel suo paese di origine per una felice coincidenza –, «un segno della provvidenza» dice il parroco, don Remo Ciapparella –, la Celebrazione della Messa, già programmata da tempo, per i 50 di sacerdozio di monsignor Fausto Panfili, vicario generale della Diocesi di Gubbio e rettore della Basilica di Sant’Ubaldo, legato da vincoli di parentela a “don Mario”. Così, infatti, a Jerago, tutti chiamano colui che, dal 24 settembre, siederà solennemente sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo.
Nella chiesa di San Giorgio gremita, tra tanta gente e le autorità – in prima fila c’è il sindaco Giorgio Ginelli –, è don Ciapparella a dare voce “orgogliosamente” ai sentimenti dell’intera comunità: “siamo con lei e preghiamo per lei in questa impresa ardua”.
Ardua, senza dubbio, l’impresa di guidare la Chiesa ambrosiana, ardua anche per un sacerdote dalle grandi e note qualità come monsignor Delpini che, nella sua omelia, delinea il profilo del prete come uomo di fede e, più in generale, di tutti coloro che credono nel Signore.
«Vivono – dice – tra gente che ha paura, che si guarda in giro come chi teme quello che può capitare, temendo che ogni incontro sia un pericolo e che ogni sconosciuto sia un nemico. Vivono tra gente che ha paura, ma loro non hanno paura: non sono ingenui ma sono fiduciosi, non sono temerari ma hanno delle sicurezze, non sono buonisti, per cui tutto va bene, ma sono inclini alla benevolenza e non hanno paura: sono uomini e donne di fede».
Un inizio forte che richiama ciascuno alla propria responsabilità cristiana, soprattutto nel mondo di oggi: «tra gente che si attacca alle cose, che trova sicurezza nelle proprietà, che difende i diritti acquisiti e posizioni conquistate con una suscettibilità che diventa rabbia e persino violenza». Eppure chi ha fede, scandisce ancora monsignor Delpini, «non fa di ciò che ha un vincolo che impedisce di andare oltre, dove il Signore chiama».
Ancora più chiara si fa, poi, la riflessione. «Gli uomini e le donne di fede emergono alla speranza e sono certi di essere chiamati non a una vita che finisce nel nulla, ma nella vita eterna», anche se «vivono tra gente che si immerge nel presente fino a autointontirsi e a censurare la domanda sul futuro come fosse motivo di inquietudine e spavento; tra gente impigliata nell’immediato, che è insicura per la precarietà di tutto, ma spaventata dalla chiamata alla definitività; gente che vorrebbe essere amata per sempre, ma dichiara il “per sempre” un peso insostenibile; gente che vorrebbe che gli altri fossero affidabili, che ci fossero cose stabili come la famiglia, il lavoro, il conto in banca, ma trova noiosa la stabilità e frustrante la ripetizione; gente combattuta tra l’inquietudine dell’insicurezza e l’ebbrezza dell’assenza di vincoli».
Da qui, il senso profondo di un credere capace di cambiare lo sguardo sulle cose e le persone, di divenire testimonianza autentica: «La fede non è un tratto del carattere, non è un sentimento, non è la conclusione di un ragionamento: la fede è la risposta a Dio che chiama uomini e donne che ascoltano la sua voce, ritengono buona la sua volontà e si affidano alle sue promesse. La fede è la risposta più semplice e, insieme, più audace più spontanea e più sapiente: eppure sembra che nel tempo moderno e nella vita di molti Dio non riesca più a entrare. Dio sta alla porta e bussa, ma molti rischiano di ignorare la visita che può riempire la casa di gioia e di speranza».
Poi, a conclusione della Celebrazione la processione fino a una moderna riproduzione della “Madonna del Granello”, venerata nell’omonima chiesa di Gubbio e molto cara alle famiglie Delpini e Panfili, benedetta per l’occasione.