Redazione
Severa analisi sulla legislatura che si è conclusa: «Negli ultimi 5 anni il tasso di crescita è stato un terzo rispetto ai 5 anni precedenti, ci sono stati problemi di finanza pubblica e il ricorso eccessivo ai condoni ha allentato il rapporto tra Stato e cittadini». Inoltre «la quantità di leggi ad personam è assolutamente scandalosa: abbiamo pagato un prezzo alto nell’abbassamento del tasso di legalità nel nostro Paese». Per il prossimo quinquennio «bisogna avere un nuovo governo, chiunque possa vincere, che guardi un po’ di più al futuro del Paese e un po’ meno agli interessi della propria parte».
di Pino Nardi
L’economia è cresciuta poco, lo stato della finanza pubblica in grande sofferenza, le tasse tagliate meno del previsto non hanno fatto da volano allo sviluppo, la legge Maroni-Biagi positiva, ma da completare per dare stabilità ai giovani.
Ferruccio de Bortoli, direttore de Il Sole 24 Ore, traccia il bilancio della legislatura vista dal suo osservatorio. E non mancano giudizi severi sulle leggi ad personam («quantità assolutamente scandalosa») e «l’abbassamento del tasso di legalità nel Paese»
E’ tempo di bilanci. Il Parlamento ha approvato una vastissima riforma che modifica la Costituzione. In attesa del referendum confermativo, ritiene che queste modifiche snaturino la Carta fondamentale oppure siano aggiornamenti necessari?
Ho sempre creduto nelle virtù del federalismo, soprattutto quello fiscale. Qui invece si è realizzato una devoluzione di poteri caotica, cominciata con le modifiche del Titolo V da parte del centrosinistra con un voto di maggioranza nel 2001. E’ una riforma federale incompiuta che devolve poteri, ma non decentra nello stesso tempo anche le responsabilità. Ritengo che sia un grave pericolo per la coesione nazionale, allenta il già modesto sentimento di appartenenza nel nostro Paese, moltiplica i costi di cui non abbiamo visibilità per il momento. Invece sarebbe molto più interessante che ci fosse attraverso il federalismo fiscale una maggiore corrispondenza tra chi versa un contributo e il servizio che riceve in modo che il cittadino sia in grado di controllare.
La politica economica del governo ha centrato i propri obiettivi promessi 5 anni fa?
Sono stati centrati in parte con la legge obiettivo e con le opere per le infrastrutture, anche perché lo spezzettarsi di responsabilità a livello regionale e iperlocale mal si accompagna con la necessità di fare grandi opere e rispondere alla sfida energetica, perché ci sono troppi livelli di responsabilità e passaggi. Le pensioni: la promessa di 500 euro è stata garantita solo a una parte degli aventi diritto. La riforma pensionistica è stata fatta, anche se procrastinata nel 2008, mentre non è stata ancora realizzata la riforma della previdenza integrativa. Negli ultimi 5 anni il tasso di crescita è stato un terzo rispetto ai 5 anni precedenti, l’economia è cresciuta molto meno, ci sono stati problemi di finanza pubblica e il ricorso eccessivo ai condoni ha allentato il rapporto tra Stato e cittadini. In questi anni si è creduto erroneamente che la sommatoria degli interessi privati potesse aumentare l’interesse pubblico. Non è così. Infine, per la competitività delle nostre imprese è stato fatto poco, se non nulla.
Quanto il taglio delle tasse è stato reale? E quali settori della società sono stati effettivamente beneficiati?
E’ stata realizzata una “no tax area” fino a 7500 euro, che comunque ha avuto un beneficio per le fasce più basse; una riforma in parte sulle aliquote, che non ha prodotto il risultato previsto, cioè tagliare le tasse per stimolare l’attività economica in un circolo virtuoso. Ma non c’erano le condizioni economiche perché ciò avvenisse, anche dal punto di vista della fiducia pubblica. L’effetto di questi tagli fiscali ridotti è stato ampiamente compensato dalla crescita di alcune imposte locali. Il Pil è cresciuto meno degli anni precedenti, aggravando le condizioni della finanza pubblica costringendo a fare sempre più operazioni straordinarie. Le cartolarizzazioni, che anticipano incassi di crediti dello Stato, rendono però difficile la gestione della finanza pubblica nei prossimi anni. Dopo queste elezioni bisognerà vedere veramente qual è lo stato dei conti pubblici.
La Legge Maroni-Biagi introduce flessibilità oppure alimenta la precarietà? Secondo lei va bene così, va modificata oppure abrogata nella prossima legislatura?
E’ una buona legge, perché in questi anni ha creato un milione e 700 mila posti di lavoro, anche se di questi 600 mila sono la regolarizzazione di impieghi privati. Però deve essere completata, perché nel disegno di Marco Biagi si accompagnava a uno Statuto dei lavori, e perché si sono create forme di impiego a volte utili flessibilità, altre volte precarietà eccessive. Il problema è far sì che molti più giovani possano partecipare al ciclo produttivo, in questo senso la legge Biagi è stato un successo. Ma non si possono tenere giovani precari per 5-8 anni, bisogna dar loro una prospettiva di stabilità. Questo è tutto un progetto ancora da realizzare.
Come valuta la politica estera del governo Berlusconi? Quale tratto specifico ha introdotto rispetto alla linea seguita nei decenni passati?
In termini europei, una rottura rispetto all’asse dei fondatori, quello franco-tedesco. Secondo me è stato un errore distinguerci troppo rispetto al nucleo principale, creando in Europa una posizione di marginalità. Ovviamente è stata fatta la scelta strategica di una più forte alleanza con gli Usa. La guerra in Iraq è stato un errore, però in termini di politica estera il governo ha sviluppato una sua coerenza, ha scelto una strada e l’ha seguita fino in fondo. Da questo punto di vista non ci sono stati gli ondeggiamenti di passati esecutivi.
(continua)