L’Arcivescovo ha incontrato alla casa Cardinal Schuster i Catecumeni che riceveranno il battesimo nella Veglia Pasquale

di Annamaria BRACCINI

Catecumeni
I Catecumeni Pavageau e Arapi

La luce dell’incontro con il Signore che fa vedere le cose con occhi nuovi convince a diventare cristiani, ricevendo i sacramenti dell’iniziazione da adulti, primo di tutti il battesimo.

A pochi giorni da quando la maggior parte dei 74 catecumeni vivranno – una decina di loro in Duomo – il tradizionale ritiro e l’incontro con l’Arcivescovo, promossi dalla Sezione Catecumenato del Servizio diocesano per la Catechesi, diventa così un modo per raccontarsi e confrontarsi, pregare, ascoltare la Parola di Dio e condividere tante domande dopo un cammino di preparazione biennale compiuto nella nostra Diocesi.

A partire proprio dalle testimonianze e interrogativi proposti al vescovo Delpini, durante il dialogo al Centro Pastorale Ambrosiano di via Sant’Antonio a Milano, presenti anche il vicario episcopale di Settore, don Mario Antonelli, i responsabili del Catecumenato delle singole Zone pastorali, padrini e madrine, sacerdoti e chi ha accompagnato i futuri cristiani adulti nel loro itinerario di discernimento.

Accanto all’Arcivescovo è don Matteo dal Santo, responsabile della Sezione Catecumenato che prende per primo la parola, rivolgendosi direttamente ai candidati. «Leggendo le vostre lettere mi sono accorto che il desiderio di diventare cristiani nasce principalmente dalle relazioni, in particolare molti di voi hanno incontrato la loro esperienza cristiana da coloro con cui stanno condividendo la vita. Altri, invece, sono stati segnati da esperienze di sofferenza propria o di persone vicine o dall’ impegno nel volontariato e altri ancora dall’iscrivere i propri figli ai cammini di iniziazione. Torna in molte delle vostre vicende, pur diverse, il tema della luce che apre gli occhi. È la fantasia di Dio che accende questa luce».

Le testimonianze

Come ha scritto Stefano, il catecumeno che Dal Santo cita: «Prima di conoscere Cristo ero preda della tempesta. Ora vedo il bello della vita, la presenza di Dio in ogni cosa, apro gli occhi e posso vedere, non sono più solo».   

Una testimonianza a cui seguono altre due offerte ai presenti da Miriam Pavageau, di madre cattolica spagnola e di padre ebreo battezzato con il battesimo bianco. «I miei genitori ci hanno lasciato la libertà di scegliere l’una o l’altra fede. Da bambina mi innamorai di Cristo, da adolescente, invece, per l’assenza forse di un senso di appartenenza ufficializzato, persi la passione, ma poi, sposandomi con Simone e la nascita di 4 figli, ecco la rinascita della scintilla, attraverso tante discussioni sulla fede. Quando ho capito che Cristo libera e che il rapporto con lui è assolutamente gratuito ho detto, ora sono pronta». 

Parole cui fa eco Alket Arapi, classe 1976, albanese che pregava per la paura, quasi inconsapevolmente, cercando da ragazzo di passare a piedi da solo il confine con la Grecia. Una vita nel grigio dell’irregolarità prima della cittadinanza italiana, da 30 anni residente a Corbetta. «Quando mi sono sposato a 20 anni – racconta Arapi emozionato – tutti dicevano che ero pazzo, invece sono qui con la mia meravigliosa moglie. Per il primo figlio abbiamo deciso di chiedere, appena nato, il battesimo e ora anche per noi». 

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Le domande e le risposte dell’Arcivescovo

L’incontro con i Catecumeni alla casa Cardinal Schuster

Arrivano anche le domande su come ringraziare il Signore. «Credo – spiega il vescovo Delpini – che per ringraziare il Signore dobbiamo essere riconoscenti e chiederci come possiamo portare frutto con le nostre risorse da spendere per il bene. Ci sono due modi per dire grazie: la preghiera, andando a Messa, celebrando bene l’Eucaristia e mettere a frutto i doni ricevuti in modo che la condizione in cui ci troviamo, la salute, ma anche la povertà e la malattia possano essere un’occasione».

Risposta netta dell’Arcivescovo anche sul come tenere viva la luce. «La parola luce, che torna nelle vostre lettere, è un modo di vedere persino nelle tenebre. La vita, gli altri, le sofferenze, ciò che accade,  pongono domande e l’esperienza di chi crede in Dio ha, talvolta, l’impressione che la vita contraddica ciò in cui crede. Io penso che possiamo trovare dei punti di riferimento laddove i Vangeli parlano della luce. Le domande che ci inquietano devono diventare non un enigma, ma un dialogo, chiedendo a Gesù il motivo per cui accadono alcune vicende. Non bisogna stancarsi mai, perché Lui ci risponde, come dice il Vangelo di Giovanni, con il dono dello Spirito che ci fa  comprendere ciò che magari fino a quel momento non abbiamo capito. Per esempio, il senso di una malattia o dell’amore. La luce resta accesa perché restano vive le domande e il rapporto con Gesù».

Don Dal Santo porta il dibattito sul come si prepara il sacramento della riconciliazione. «La prima cosa che si deve fare – risponde Delpini – è ascoltare cosa Gesù chiede ai suoi discepoli. Il peccato è una scelta che contraddice la nostra appartenenza a Gesù. Occorre riconoscere il nostro peccato e, se c’è, chiedere perdono. La confessione sacramentale che ci assicura della misericordia del Padre se siamo pentiti, ha il vantaggio di poter essere anche un accompagnamento da parte del confessore».

Come affrontare però, osserva Pavageau, i momenti di crisi spirituale nell’adolescenza? «Questa è un domanda che dobbiamo sempre porci, perché il battezzato adulto può pensare di essere arrivato alla meta, a vedere la luce, ma non si è mai arrivati. È interessante leggere i Vangeli e vedere i momenti di crisi dei discepoli. La prima cosa è decidere di stare con Gesù comunque, qualunque cosa capiti. Poi, occorre essere dentro un comunità, partecipando alla sua vita, facendosi consigliare dai fratelli e dalle sorelle e insistere nella preghiera».

«La crisi degli adolescenti – conclude Delpini – che è spesso dovuta a un contesto dove andare a Messa o pregare sono oggetto di scherno da parte dei coetanei. Senza dimenticare le crisi personali di ragazzi che non si piacciono e sono arrabbiati con il mondo. In verità devono imparare ad accettarsi. Insistere nella preghiera per loro, che non è una delega, ma una l’invocazione dello Spirito perché anche noi adulti diventiamo capaci di fare ciò che dobbiamo. È utile anche la narrazione, che diviene una testimonianza, di come anche i genitori abbiano attraversato certi momenti difficili. Bisogna ascoltarli, perché i giovani apprezzano molto chi li ascolta».

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