Sabato 28 gennaio a Cassina de' Pecchi secondo incontro del percorso di formazione permanente per operatori pastorali impegnati a realizzare comunità realmente aperte a tutti

di Mariarosa Tettamanti
Membro della Consulta diocesana

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Ci sono giornate che si aprono su albe diverse, più promettenti e luminose del solito. È stato così il 12 novembre scorso, quando i membri della «Consulta diocesana Comunità cristiana e disabilità» e 37 operatori pastorali particolarmente sensibili ai temi della fragilità si sono incontrati a presso la parrocchia San Gregorio a Milano per conoscersi e riflettere insieme sul comune desiderio di un’inclusione a 360 gradi, l’unica che possa dirsi veramente cristiana. Tra i partecipanti è da subito circolato un vento di novità e di collaborazione fattiva, che ha scoperto affinità e portato alla luce repentini legami, nati da uno sguardarsi negli occhi che ci ha svelati a noi stessi come persone abitate da un sogno comune… e si sa che non c’è vincolo più bello di quello creato dai sogni.

La prova della fragilità

L’avventura continuerà il 28 gennaio presso l’oratorio San Domenico Savio di Cassina de’ Pecchi, con l’esplorazione delle nostre comunità alle prese con la fragilità. Orienterà la riflessione una relazione di don Mattia Colombo, teologo pastoralista, su «La comunità cristiana alla prova della fragilità: comunità provata o comunità salvata?». Il titolo apre scenari splendenti e nel contempo inquietanti: è la prova della fragilità ciò che salverà le nostre comunità? Dovremo fare i conti con la debolezza per passare nel numero dei salvati? Dopo tutto, siamo figli di un Dio che ha lasciato il suo cielo ottavo e lucente per ricavarsi un nido di carne mortale nel dna di un’umanità fragile e infelice.

Oltre l’idealismo

Dopo che le nostre attese avranno avuto qualche risposta nell’intervento del relatore, saremo chiamati nel pomeriggio a lavorare nei gruppi, per imparare a fotografare la comunità reale, superando la tentazione di una deriva verso quell’immagine della comunità ideale che tanto ci è cara. Ci chiediamo infatti se uno dei malintesi che uccidono una comunità non sia proprio l’idealismo, che suggerisce la pretesa di una Chiesa sempre bella, pacifica, affiatata, gratificante, formata da santi, insomma, ma non da peccatori. Ci domandiamo se non usiamo a sproposito il cosiddetto “condizionale idealistico”, secondo il quale la comunità dovrebbe essere più accogliente, più attenta, più capace di perdono e così via: tutti valori importantissimi, certo, ma che non lasciano spazio alle dimensioni del limite, della fallibilità, addirittura dello scandalo, le quali fanno inevitabilmente parte della vita di un gruppo di persone reale e non soltanto immaginato.

Andando più a fondo negli interrogativi, ci chiediamo se, in questo cambiamento di epoca, e dopo la tragica esperienza della pandemia, che nel giro di poche ore ha azzerato un certo modo di vivere insieme, esista ancora una dimensione di comunità, o almeno se abbia ancora senso declinare delle differenze tra comunità diverse. Se così fosse, quale sarebbe lo specifico della comunità cristiana? E non sarebbe più corretto parlare di una comunità più ampia e “dislocata”, composta cioè da diverse forme e occasioni di aggregazione?

Il monito del Papa

Echeggia con forza nella Chiesa il lessico vivo di papa Francesco: «La pandemia ha messo in risalto quanto siamo tutti vulnerabili e interconnessi. Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, a partire dagli ultimi, da coloro che sono maggiormente colpiti, incluso il creato, non possiamo guarire il mondo». Queste parole trascinano con sé altre domande: la dimensione della vulnerabilità, della fragilità ha veramente diritto di cittadinanza nelle nostre comunità cristiane, forse spesso preoccupate di essere prestanti e “vive”, cioè in ultima analisi in grado più che altro di progettare e organizzare una grande molteplicità di attività e di iniziative? Le nostre comunità sono capaci di superare, nei confronti delle persone più fragili e delle loro famiglie, quell’atteggiamento pietistico, spesso erroneamente chiamato “carità”, per prendersi realmente e degnamente cura di loro, promuovendone le capacità e le risorse, all’interno di un clima di reale parità?

Le parole di San Paolo

Di più: le nostre Chiese locali sanno comprendere la fragilità come il luogo in cui si rivela la potenza di Dio, secondo ciò che ha scritto San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi? Rileggiamo insieme queste Parole tuttora viventi pur se scritte più di 2000 anni fa, rileggiamolo insieme e lasciamo che entrino profondamente nell’intimità dei nostri pensieri profondi: «Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono...» (1 Cor 1, 27-28).

Chi fosse interessato a questa proposta di formazione può chiedere maggior informazioni scrivendo a inclusionedelladisabilita@diocesi.milano.it, lasciando anche un proprio recapito telefonico.

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